madriMadri assassine, madri pentite di aver generato e supermamme tra famiglie e lavoro. La sera del 12 ottobre, all’inaugurazione della mostra “Madri Perdute”, fino al 19 ottobre alla Casa delle Donne di Milano, è stato affrontato il tema della maternità sotto diversi aspetti. Sono state le artiste protagoniste della mostra a dare il la all’evento: Barbara Pietrasanta con le tele, Silvia Manazza con le originali sculture, Vanna Mazzei con le poesie. Squarci di luci e di ombre, “trascurabili frammenti” intorno a figure di donna sola, stoffe aggrovigliate a creare un passeggino, o un busto di “Mater”. E le voci di otto madri, come pugni nello stomaco (“stringo sul cuore il cuscino con cui l’ho soffocato e mi inebrio al suo profumo acido di latte”).

Lo sguardo delle tre artiste introduce la discussione. La maternità è un tema che si colloca nel profondo dell’esperienza di tutte le donne – chi è madre e chi non ha voluto o non ha potuto esserlo – e di tutti gli esseri umani, figli e figlie di donna. È un tema che ha attraversato da sempre la riflessione collettiva delle donne e che sempre ha comportato un carico di emozioni, passioni, ambivalenze: dall’aborto alla gestazione per conto di altri.

In questo caso l’attenzione era sul lato oscuro della maternità. Un discorso difficile, complesso e doloroso, che si è via via articolato e stemperato, dalle storie degli infanticidi agli aspetti più vicini a ciascuna di noi.

Perché ci sono “cattive madri”, che sono inadeguate, magari solo in una fase della vita dei figli, ha esordito la psicanalista Gabriella Mariotti, e “madri cattive”. Donne per le quali la maternità è un giogo intollerabile, attivatore di odio antico e di rabbia, donne che portano anche nella maternità una corrente di distruttività che viene da lontano. La cattiveria materna, anche quando non arriva all’infanticidio – che è frutto di patologia e totale mancanza di autocontenimento – si esprime nel rifiuto mascherato e infiltrato nelle “piccole cose”. Promettere e sorridendo sottrarre, senza motivazione. O far sentire costantemente sbagliata la figlia o il figlio, perché tossisce, perché ha caratteristiche fisiche che “fanno schifo”, perché ha o non ha un fidanzato/a. Questi comportamenti fanno crescere adulti che interiorizzano il disvalore o addirittura il disprezzo di sé. E una dinamica specifica, all’insegna dell’invidia materna, può caratterizzare il rapporto con la figlia femmina. Che fare dunque? Non si tratta di criminalizzare o negare un sentimento umano come l’odio, ma di de-idealizzare il ruolo materno nella sua accezione più costrittiva e di allentare quella gabbia dorata che inchioda la donna alla maternità “obbligata”, o alla oblatività e bontà totali. Non a caso, ha concluso Mariotti, Winnicott ha parlato di madri “sufficientemente buone”, offrendo giustamente una via d’uscita alla iconografia della “mamma sacrificale e santificata”, sempre perfetta e sicuramente capace “per istinto”.

Su questo tema si è inserita la sociologa Sveva Magaraggia, partendo da alcune ricerche da cui emerge un nuovo punto di vista delle giovani madri. Che in alcuni casi hanno il coraggio di dichiararsi “pentite” della scelta, anche se questo non significa non amare i figli. “È un atto politico di rottura nel contesto ideologico dominante della madre perfetta” ha detto. “ Quella che la società oggi vuole multindaffarata, multisfaccettata, multitasking”.

Una supermamma che emerge anche da recentissime ricerche finanziate da grandi aziende commerciali: capace di dieci attività in contemporanea, non è altro che la versione moderna del ruolo materno tradizionale, che tra l’altro dà per scontata l’incapacità e l’irrilevanza paterna. Il cambiamento dell’opinione prevalente sulla maternità è testimoniato anche dal fatto che molte ragazze oggi, di fronte ai casi di madri assassine, dicono “le capisco”. Si tratta, ha concluso Magaraggia, di smontare l’idea della madre perfetta, accettando anche quella che Elisabeth Badinter definisce, parlando di sé e di moltissime altre donne, una “madre mediocre”. Un tema cruciale oggi in cui il contesto sociale e lavorativo rende difficile per molte giovani la scelta della maternità, che a volte può essere “perduta” nella lunga transizione verso l’età adulta. Senza dimenticare che c’è un ruolo dei padri spesso ignorato e che in ogni caso è necessario legittimare la libertà delle donne, compresa la scelta di essere o no madre.

All’opinione “mainstream” sulle cattive madri è ritornata Giovanna Pezzuoli, giornalista della 27a Ora Corriere della Sera, con un’analisi del modo in cui i media hanno trattato una quindicina di casi di infanticidio o figlicidio in Italia negli ultimi dieci anni. Storie in cui, nella grande maggioranza, la donna tenta a sua volta il suicidio o è rea confessa. Gli eventi sono classificati dalla stampa come “inspiegabili”, “indecifrabili”, “innaturali”. A volte la donna viene trasformata in mostro. Più spesso, di fronte alle testimonianze di parenti e vicini increduli, c’è il rifugio nell’ambito rassicurante della devianza: dal raptus alla depressione. A proposito della fretta con cui l’infanticidio commesso da una madre viene archiviato sotto l’etichetta della “follia” e della “malattia mentale”, Pezzuoli cita un articolo di Lea Melandri (Pazze di maternità) che parla di barriera delle “competenze mediche”, che diventano un ulteriore ostacolo per la conoscenza delle passioni consapevoli o inconsapevoli che agitano la complessità degli essere umani, in cui l’amore non ha mai smesso di mescolarsi con la morte e in cui la patologia, nelle sue varie forme, è imparentata con la comune, ordinaria sofferenza umana.

Ofelia Valentino, avvocata, ha raccontato una complessa e drammatica vicenda in cui è stata professionalmente coinvolta: una donna, in carcere per aver ucciso il figlio, rimasta successivamente incinta di un bambino su cui si è scatenata una battaglia legale per definire la legittimità o non legittimità dell’adozione o dell’affido temporaneo. Valentino ha indicato una delle tante ambivalenze su questo tema, che riguarda direttamente il lavoro del legale: nell’interesse della donna che difende, l’avvocato tende a dimostrare la sua “incapacità di intendere e volere” anche quando questo non corrisponde alla realtà.

Una serata intensa cui il pubblico ha contribuito con un dibattito che ha messo a fuoco vari aspetti: dall’aiuto alla “maternità fragile” alla difesa dei diritti sul lavoro (come i permessi di maternità e paternità) alla salvaguardia dei minori.

Dopo la serata di venerdì 14, in cui l’attrice Lucia Vasini ha letto le poesie di Vanna Mazzei, mercoledì 19 ottobre alle 19 la proiezione del film “Maternity blues”, di Fabrizio Cattani (2011, menzione speciale Premio Lina Mangiacapre alla 68ma Mostra del cinema di Venezia) che concluderà anche la mostra.

Gabriella Persiani