Eccoci oggi con due romanzi recenti, ambientati alla metà del Novecento, le cui protagoniste cercano la via della propria libertà: una, Caterina, in una chiusa realtà contadina, l’altra, Anna, nella città di Napoli nel 1943-1945. Il romanzo di Barbara Buoso, L’ordine innaturale degli elementi (Baldini+Castoldi, 2024), presenta un mondo contadino attanagliato dalla scarsità dei raccolti e dalla fame, in cui nascere femmina è una vera e propria disgrazia. Caterina però lavora la terra, segue con entusiasmo la crescita delle piante e lotta con grande tenacia per sopravvivere; riuscirà poi a costruirsi una vita autonoma, con un lavoro suo, in un luogo lontano dalla chiusa famiglia di origine. La aiuta la scuola, dove la ragazzina impara molto ma non riesce a esprimersi. Caterina non può parlare, non può raccontare di sé né della famiglia dove ogni relazione parentale è violenta. Caterina abdica alla parola, ma realizza la sua indipendenza.
Nel romanzo di Erica Cassano, La grande sete (Feltrinelli, 2025), la protagonista è Anna, una giovane donna forte e saggia che sa muoversi nella folla dei quartieri popolari di Napoli e presso la sede dei nuovi arrivati nella città liberata, i soldati americani. Napoli allora era oppressa da una sete terribile. Gli occupanti tedeschi avevano distrutto gli acquedotti. La famiglia di Anna gode inspiegabilmente di acqua che scorre dai rubinetti della sua casa e generosamente la condivide. Nella miseria provocata dalla guerra, Anna riesce a mantenere i famigliari grazie a un lavoro di segreteria che svolge negli alloggiamenti dei soldati americani. Tra pettegolezzi e accuse di tradimento che le vengono mosse dai vicini, vivendo nuove amicizie e amori, mantiene fede ai propri valori e trova la strada per coltivare i suoi interessi più autentici.
Potete inviarci proposte e commenti all’indirizzo librarsi@casadonnemilano.it
Barbara Buoso
L’ordine innaturale degli elementi
Baldini+Castoldi, 2024
Disgraziatamente Caterina nacque femmina. A nulla valsero le Rogazioni condotte da Don Virginio nell’aprile precedente:
“Tutta la comunità pregò per Ornella, la madre di Caterina, pregarono ogni genere di preghiera per evitare la tragedia della nascita di una femmina e implorare un raccolto in grado di sfamare tutti”.
Ma quattro mesi dopo, il 10 di agosto, Caterina nacque femmina sotto un cielo di stelle cadenti, “solo che lei non era il desiderio di nessuno”.
Questo dato di fatto è il suo battesimo e la bambina se lo porterà come segno indelebile, come impronta sopra di sé. È con questo che deve fare i conti sin da subito e, poiché è forte e decide di sopravvivere, comincerà a tessere dentro una rete di legami con la natura e la terra e un’altra con gli umani che la circondano fatta di dispetti e silenzi, di fili trinciati, di distacchi fino al distacco da sé stessa.
Questo è un romanzo sulla società contadina della metà del secolo scorso, in un Polesine severo. Una terra che dà e che prende secondo i ritmi naturali ma che forgia un’umanità così tanto dipendente dalla terra da sovvertirne l’ordine interno. Il raccolto è più importante dei figli, le braccia per il lavoro più dell’infanzia o dei sentimenti di amore, l’accumulo delle riserve più della solidarietà. Dunque, la fattoria dove cresce Caterina, pur accogliendo una famiglia di fratelli, cognate e cugini, è chiusa e isolata.
Dalle maglie strette del nucleo patriarcale Caterina evade correndo nei campi, lavorando la terra a mani nude. Dal contatto diretto con le zolle ricava il benessere che le viene dalla fertilizzazione, dalla nascita e crescita di ciò che pianta e cura insieme allo zio Arnaldo. La scuola, quando sarà il momento, è un’avventura preziosa per evadere e per soddisfare l’insaziabile curiosità ma le toglie la parola a causa di quello strato di civiltà di cui è ammantata.
Impara in fretta e volentieri, Caterina. Ma non parla: non ha niente da dire e questo disorienta compagni e insegnanti. C’è chi vorrebbe capire di più del suo mutismo, indagando oltre ogni misura prevista da quel mondo chiuso e scabro. E questo non è permesso. E, d’altra parte, Caterina non può parlare, non può raccontare di sé né della famiglia dove ogni relazione parentale è abbozzata a colpi di vanga e dove è perfino previsto il silenzioso abuso sessuale.
Non ha niente da dire la ragazzina e non vuole, non le interessa parlare di sé, dei suoi sentimenti. Vuole solo conoscere altro, tutto ciò che è altro dalla sua vita. E, nonostante la scuola sia sempre a rischio, riuscirà a completare un corso di studi che la porterà da adulta lontano da lì e con un lavoro tutto suo. Il prezzo da pagare sarà alto e non compenserà mai quella scissione da sé, quell’abdicare della parola che, iniziata nell’infanzia, l’accompagnerà sempre. Ma lei ha spezzato l’eredità delle donne della famiglia, devote e prostrate agli uomini e alla terra, prendendo la sua strada e invertendo l’ordine degli elementi. In perfetto e tenace silenzio.
Questo romanzo, come altri di Barbara Buoso, rappresenta la terra del Polesine nella sua fisicità e nella fisionomia delle società contadine che la popolano. Racconta del forte legame di amore-odio, degli aspetti conflittuali della natura e della dura vita di chi coltiva la terra, con tutti i rischi di sopravvivenza e con la crudeltà dei rapporti patriarcali. La tenacia della protagonista a preservarsi, la fantasia con cui attraversa la campagna, il respiro grande con il quale guarda il cielo aiutano chi legge a fronteggiare la ferocia che attraversa le pagine.
La scrittura dell’autrice, come sempre, è cristallina, forte nell’uso di accoppiate lessicali e aggettivazioni; con un equilibrato alternarsi di frasi in dialetto che nulla tolgono alla comprensione ma anzi aumentano l’intensità delle atmosfere e degli ambienti e convivono in armonia con l’italiano accurato ed elegante che le è proprio.
Barbara Buoso è stata nostra ospite con il suo ultimo romanzo Padre terra (Fernandel, 2024), nel quale conferma tutti gli elementi stilistici e narrativi della sua produzione.
Angela Giannitrapani
Erica Cassano
La grande sete
Feltrinelli, 2025
Un grande affresco corale ambientato nei quartieri popolari di Napoli. Una “fiction storica” che ripercorre i due anni dal 1943 al 1945 a Napoli, dalle “4 giornate” della liberazione dai nazifascisti fino alla fine della guerra. Tutto ciò fa da cornice e dà spessore al romanzo di formazione di una giovane donna che conquista la propria libertà e, con saggezza e coraggio, mette a fuoco i propri desideri e valori più autentici.
Erica Cassano si è fatta ispirare dal diario della propria nonna; si è formata alla Facoltà di Lettere dell’Università Federico II e poi alla scuola Holden di Torino in cui si è compiuta la gestazione del romanzo, seguita poi da un’accurata revisione linguistica. La giovane autrice esordiente ha fatto tesoro della grande letteratura e cinematografia napoletana, e della lezione di Elsa Morante; ha ripercorso attentamente giornali e riviste dell’epoca per cercare di comprendere dall’interno la vita dei napoletani nel periodo considerato.
Anna, giovane donna, è protagonista e voce narrante del testo. La prima sorpresa del libro è che le vicende delle storiche “4 giornate” di Napoli (dal 27 al 30 settembre 1943) sono narrate un po’ lateralmente. Al centro c’è la tremenda sete che tormenta la popolazione della città.
«Erano le settimane della Grande Sete. I tedeschi avevano fatto saltare l’acquedotto del Serino, le riserve si erano prosciugate e, dalla fine di agosto, la città era a secco. Sulla spiaggia di Chiaia qualcuno aveva costruito certi marchingegni che servivano a dissalare l’acqua del mare, fatti con bidoni di latta e pentoloni di rame riscaldati con il carbone.”
Come succede ora nella guerra di Gaza, e come si è fatto tante volte nella storia, per tentare di vincere la resistenza di un popolo i dominatori lo privano dei beni essenziali. Con la consueta creatività, gli abitanti di Napoli cercano di sopravvivere e di recuperare l’acqua dal mare, ma – non si sa come – nella casa di Anna l’acqua continua a scorrere dai rubinetti. La ragazza e i suoi decidono generosamente di non tenere il segreto e riforniscono di acqua tutte le persone che la chiedono.
Il romanzo traccia un ritratto vivido della famiglia di Anna (la madre, la sorella con due bambini, mentre il padre e il cognato sono dispersi chissà dove a causa della guerra e della lotta di resistenza) e dei vicini di casa.
Tra i condomini c’è di tutto: anziani che discutono coi dirimpettai sul ruolo degli americani, maliziose e loquaci bevitrici di caffè assetate di notizie e di pettegolezzi, una ragazza costretta alla prostituzione, un padre violento verso la figlia e le vicine di casa, persone coinvolte nella mafia, giovani donne amiche di Anna, una madre di undici figli, ora tutti – tranne uno – introvabili e dispersi al fronte o nelle bande degli scugnizzi che hanno preso il controllo della città e concorso alla liberazione.
Molte persone accorrono a prendere l’acqua nell’unica casa che la possiede, muniti di pentole e secchi. Tutte figure delineate con vivace precisione. La guerra lascia i suoi guasti e le sue cicatrici a lungo. Morti, sparizioni, assenze, ferite e mutilazioni, problemi mentali, ricordi inconfessabili.
Il rione popolare vive in quegli anni un condensato di mali. Oltre alla sete, bombardamenti incessanti da parte degli alleati, che generano una terrificante roulette di morte e di vita nei rifugi e nelle strade; ci si mette anche il Vesuvio con una sua eruzione improvvisa e minacciosa. I popolani reagiscono a tutto ciò con coraggio e fatalismo, in una incrollabile volontà di vivere. Riescono a liberarsi da soli dai nazifascisti.
La gioia e l’orgoglio della cacciata dei tedeschi si accompagna subito alla diffidenza nei confronti dei soldati americani, entrati poco dopo nella città. I nuovi arrivati sono accolti volentieri, ma sospettati di voler stabilire una nuova sottomissione. Il popolo di Napoli ha conosciuto nella sua storia troppe dominazioni. Possiede, accanto all’orgoglio, anche un’atavica resistenza alle novità, un conservatorismo che ha molte ragioni.
Anna, assetata di libri e di cultura, ha imparato un po’ di inglese e riesce a farsi assumere dagli americani per lavori di segreteria. Il suo stipendio assicura la sopravvivenza della famiglia; ma lei deve uscire di casa e lavorare con cautela, all’inizio di nascosto dalla madre. Poi sarà costretta a difendersi dalle chiacchiere di chi la considera “venduta” ai nuovi arrivati, quasi una traditrice. Del resto gli “americani”, portatori di speranza e di possibilità nuove, presto dimostrano i propri difetti: soprattutto il disprezzo per i neri. Portano con sé il sogno di una vita diversa in un nuovo continente, ma nessuno sa come sarà poi il viverci…
Il padre di Anna, anche se a lungo assente, è una figura fondamentale per la ragazza. Antifascista attivo, a causa del suo impegno è stato obbligato a lasciare Genova e a spostarsi a Napoli con tutta la famiglia. Un trasferimento vissuto con difficoltà e risentimenti dalla moglie, la mamma di Anna. I valori paterni – l’importanza della cultura, l’opposizione al fascismo e al razzismo, la solidarietà – si sono profondamente impressi nella figlia, che col suo nuovo e discusso impiego è il perno della famiglia.
Anna si destreggia con discrezione e abilità sia nel rione, sia nell’ambiente degli americani per cui lavora. Vive amicizie e amori. Con dubbi e fatica, trova la strada della sua libertà autentica. Il romanzo coinvolge profondamente nella ricerca di fedeltà a se stessa e di realizzazione dei propri desideri profondi, che per la giovane donna comporta scelte spesso difficili.
Questo libro è frutto di una grande ricerca, storica, letteraria e linguistica. Offre una lettura coinvolgente e un linguaggio sorprendente. C’è molta libertà nel modo in cui l’autrice esplora i risvolti di un’umanità molteplice. La scelta delle parole e delle immagini contrasta stereotipi e preconcetti e crea spesso sorprese, soprattutto nell’esprimere gli stati d’animo, le decisioni e i destini delle diverse ragazze che diventano donne negli anni Quaranta del secolo scorso.
La figura di Anna, complessa, assennata e coraggiosa, capace di affrontare le novità, guidata da valori solidi, assetata di cultura, è indimenticabile e a volte imprevedibile. Alle prese con una madre umorale e con una sorella un po’ fragile, riesce a comprenderle e a stabilire sempre un rapporto con loro. Con le sue doti di tenacia e di fedeltà a sé stessa, con la sua passione per i libri e la letteratura, in fondo sembra assomigliare alla giovane autrice del romanzo.
La “grande sete” che segna il titolo e l’avvio del libro è ovviamente non solo sete di acqua. È desiderio di autenticità, di dignità e di cultura, di verità, di vita indipendente, di liberazione dalla miseria e dai dominatori, per Anna e – in prospettiva – anche per molti dei personaggi che la circondano. Una bella ricerca di libertà femminile, ambientata a Napoli nelle generazioni delle nostre nonne e mamme.
Vittoria Longoni
