Incontrate per caso e agglomerate per necessità, in questi mesi insieme abbiamo prodotto un logo, un sito, una redazione e una squadra di social come Gruppo comunicazione della Casa delle Donne.

Ma come è stato, concretamente,  lavorare al progetto nella @redazione della Casa?

Uscire dall’ufficio che c’è buio e attraversare la città sotto la pioggia per andare a una riunione, passare da casa mezz’ora per sistemare tutti e poi lasciarli per ripartire di corsa, trascorrere la pausa pranzo a coordinarsi mangiando un panino al telefono, fare le due di notte a impaginare cartelli e selezionare foto. Aprire la casella di posta dopo 24 ore e trovarci quarantacinque email, ascoltare i problemi di amiche e fidanzate pensando ai testi ancora da revisionare, avere il desktop pieno di file chiamati casadonne_1, 2,3,12, fare un’ora di treno per 90 minuti di riunione, arrivare in bici con un freddo cane, modificare mille volte i programmi e rispondere cento volte alle stesse domande.

Nel mentre, naturalmente, la vita reale, fatta di traslochi, ospedali, separazioni, genitori anziani, figli malati, fidanzati richiedenti e cani con l’allergia.
A turno, per tutte, almeno una volta la stessa domanda: ‘… Ma perché lo sto facendo?’.
‘Per amore del progetto’, penserete voi. Certamente sì, ma vi garantisco che quello da solo certe volte non sarebbe bastato, nemmeno alle più motivate.

È che ci siamo date una mano.
Son tempi complicati e fare volontariato è una specie di lusso, il lavoro in team è difficile, lavorare fra donne forse lo è ancora di più, entrare il relazione con sconosciute non semplifica. Aiuta però se almeno una delle presenti ti guarda e ti sorride, se la seconda volta che ti vede si ricorda come ti chiami, se il giorno dopo un incontro in cui ti ha visto stravolta ti manda un sms per sapere come stai.

Alle riunioni abbiamo potuto ridere e piangere e soprattutto abbiamo riso, ci siamo chieste come andava e ci siamo  concesse di rispondere la verità, una risposta veloce e poi via a lavorare che il tempo è di tutte, ma il giorno dopo qualcuna se l’è ricordato sempre, di sentire se andava meglio.
A rotazione ci siamo adottate e incoraggiate, a turno abbiamo portato del cibo e aperto le case, a staffetta abbiamo cercato di coprire i buchi di tempo che tutte abbiamo avuto, cercando di tenere la maggior parte delle critiche per noi, ci siamo innervosite spesso e non l’abbiamo detto quasi mai.

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Ci siamo date reciprocamente fiducia, dicendoci brave quando eravamo brave, coraggio quando serviva coraggio, pazienza quando ci voleva pazienza.

Così, oggi ci diciamo grazie, perché quello che è successo l’8 marzo, l’inaugurazione partecipata e sbalorditiva che tutte avete potuto vedere, è stata il risultato di un lavoro intenso fatto da tante donne competenti, ma anche e soprattutto da una rete di relazioni che ci ha sostenute, incoraggiate, protette.
E di uno sguardo buono delle donne sulle donne che ci siamo regalate a vicenda, senza il quale molto di tutto ciò non sarebbe successo, perché invece di mollare abbiamo tenuto,  e al momento giusto abbiamo potuto saltare così, molto in alto e tutte insieme.

Michela Pagarini