Eccoci con una puntata tutta dedicata al tema della cura. Ne abbiamo già parlato, ma data l’importanza ne offriamo altri quattro contributi recenti. Il saggio “L’etica della cura” di Fabienne Brugère, Feltrinelli 2023 affronta la questione del legame sociale mettendo la vulnerabilità, la dipendenza e l’interdipendenza al centro delle relazioni delle società. Brugère sostiene che la cura implica una visione diversa del lavoro e della giustizia e una profonda trasformazione sociale.

Della storica pensatrice Carol Gilligan recensiamo il lavoro a quattro mani: “Perché il patriarcato persiste?” Di Carol Gilligan e Naomi Snider, VandA edizioni 2021 e il testo recente: Carol Gilligan “Con voce umana” VandA.edizioni 2024. Questi testi segnalano, in base al cambiamento delle condizioni sociali e al tipo di ricerche condotte, gli approfondimenti che l’autrice ha dedicato nei decenni al tema della cura e alle proprie convinzioni iniziali.

Riportiamo infine un testo che rende conto del lavoro del Gruppo Donne e Scrittura della Libera Università delle Donne, dal titolo: “Pensare la cura – Curare il pensiero-Confronto di esperienze”, pubblicato nelle Ed. Libera Università delle Donne del 2011.

La cura autentica, il dialogo, il riconoscimento dell’altr* sono l’esatto contrario delle guerre distruttive e dei massacri e genocidi che si scatenano nel nostro mondo. Continuate a seguirci e a comunicare con noi all’indirizzo librarsi@casadonnemilano.it

Fabienne Brugère
L’etica della cura

Feltrinelli, 2023

Nel suo saggio L’etica della cura, Fabienne Brugère ci invita a ripensare radicalmente la nostra concezione dell’etica. Come Simone de Beauvoir, che nel Secondo sesso affermava che “non si nasce donna, lo si diventa”, Brugère ci ricorda che le qualità associate alla cura non sono innate nelle donne, ma sono il risultato di costruzioni sociali e culturali. Rispetto a Gilligan, nel testo L’etica della cura si affronta la questione del legame sociale mettendo la vulnerabilità, la dipendenza e l’interdipendenza al centro delle relazioni delle società. Brugère sostiene che la cura implica una visione diversa del lavoro e della giustizia, portando avanti un vero progetto sociale e in questo modo, l’autrice propone una trasformazione profonda delle strutture sociali attuali, in cui la cura non è più relegata al privato o al femminile, ma diventa un valore universale e condiviso.

L’etica della cura, secondo Brugère, non si limita a un sentimento o a un’attitudine, ma si traduce in azioni concrete e in politiche pubbliche che riconoscono e valorizzano il lavoro di cura. Questo approccio mette in discussione le tradizionali gerarchie di valore e propone una cura più attenta alle persone e alle loro esigenze. Contribuendo al pensiero femminista contemporaneo, l’autrice offre una visione alternativa e più umana della società; ci sfida a superare le dicotomie e a costruire un mondo in cui la cura e la solidarietà siano al centro delle nostre relazioni e delle nostre istituzioni.

In conclusione, L’etica della cura di Fabienne Brugère non è solo un testo filosofico di grande lucidità, ma anche un grido politico necessario. L’autrice, con la sua chiarezza disarmante, ci ricorda che la cura non è una debolezza, ma una forza sovversiva, un atto radicale di resistenza contro l’individualismo neoliberale e la disumanizzazione dei rapporti. Leggendo Brugère, si ha la sensazione di poter finalmente riscrivere l’ordine del mondo a partire dalle relazioni, non dalla competizione; dalla solidarietà, non dalla gerarchia. E soprattutto, si sente che il femminismo non è più solo una lotta per la parità, ma un progetto etico universale che mette al centro ciò che è stato sempre tenuto ai margini: il corpo, il bisogno, il legame. In un tempo in cui ci viene chiesto di essere autonome fino all’isolamento, Brugère ci invita a rivendicare l’interdipendenza come forma più alta di libertà. E questo, oggi più che mai, è un atto rivoluzionario.

Giorgia Patrignani


Carol Gilligan e Naomi Snider
Perché il patriarcato persiste?
VandA edizioni, 2021

La prefazione all’edizione italiana, di Wanda Tommasi, colloca questo libro scritto a quattro mani nel contesto del dibattito sul “femminismo della differenza”.

Carol Gilligan è psicologa di formazione e di professione e scrive i suoi testi come sintesi di un lungo lavoro di dialogo e di interviste con moltissime ragazze, ragazzi e bambin*. Come già negli scritti precedenti, cerca nelle loro parole il suono di una voce autentica, che poi viene tacitata (nei bambini di solito tra i 4 e i 7 anni, nelle ragazze di norma intorno alla pubertà. tra gli 11 e i 14 anni) quando le giovani persone si adeguano ai modelli socialmente prestabiliti di virilità e di femminilità. Il suo primo testo fondamentale, tradotto in italiano “Con voce di donna”, in conformità all’ortodossia femminista, nell’originale suona invece “In a different voice”.  La voce “differente”, più autentica e meno condizionata dalle convenzioni sociali, si trova soprattutto nelle ragazze, ma anche nei bambini piccoli. Non è cioè frutto di un’identità femminile astorica, “naturale”, “essenziale”, ma è una voce ancora immune dagli attuali condizionamenti patriarcali.

Il femminismo di Gilligan è quindi fin dall’inizio la ricerca di una liberazione dal patriarcato, che condiziona e danneggia le donne, ma anche i maschi. Le femmine ingabbiate nella passività, nel silenzio, nella rinuncia a esprimere la propria voce autentica e a temere l’assertività come se fosse un comportamento non adatto in quanto “maschile”, obbligate a un atteggiamento costante di cura e di dedizione, a un “accudimento ansioso” che in fondo ne cancella la personalità e i desideri e le condanna alla subalternità e al sacrificio.

I maschietti e gli adulti invece vengono indotti a cancellare il desiderio di comunicazione autentica, di cura praticata e desiderata, di tenerezza, di dubbio, di sfumature e di sensibilità (considerati cose “femminili”) e a chiudersi nella corazza di una precoce virilità chiusa e aggressiva, incapace di emozioni, protesa solo alla propria autoaffermazione e al disprezzo per la “debole” femminilità.  Il pensiero si separa dall’emozione, l’”io” dall’altro.  Una perdita di intimità e di relazione profonda compensata però dalla superiorità guadagnata, culturalmente e socialmente, rispetto al mondo femminile

Gilligan approfondisce e articola queste convinzioni nei suoi lavori successivi; esse segnano fin dall’inizio una distanza dall’essenzialismo che rischia di pervadere il “pensiero della differenza”.

Naomi Snider, che condivide in gran parte il pensiero e la sensibilità di Gilligan, vi aggiunge la propria esperienza personale di bambina che ha perso il padre a cinque anni: essa ha reagito alla gravissima perdita con la repressione di sé, l’autocontrollo emotivo, lo sforzo di compiacere gli altri. Naomi ha sacrificato una parte fondamentale di sé (i suoi veri pensieri, sentimenti e desideri), ha messo a tacere tutto ciò che può urtare gli altri per mantenere la loro approvazione e prevenire il dolore di ulteriori perdite. Le relazioni e gli amori autentici sono sentiti come pericolosi perché rischiano di riprodurre il dolore della perdita. Per le donne, il tacitamento della propria voce sincera è una mutilazione dolorosa, benchè rafforzata socialmente in quanto conforme agli stereotipi tradizionali sulla femminilità, intesa come “materna e oblativa, sacrificale”.

Viene in mente la domanda fondamentale di Sibilla Aleramo: “Perché nella maternità adoriamo in sacrificio?” Perché tutta questa abnegazione?

Naomi – che ha studiato Legge- ha poi recuperato la sua voce autentica esplorando e scrivendo la biografia del padre, intervistando a sua volta molte ragazze e lavorando su di sé in collaborazione con altre femministe.

Entrambe le studiose convergono nel contrapporre la “relazione autentica” alle molteplici “pseudo-relazioni” vissute da donne e da uomini soggetti al patriarcato. In questo contesto il gioco relazionale viene pervertito, associando la voce relazionale (di accudimento ansioso) al femminile e quella esclusivamente assertiva al maschile: è una mutilazione per entrambi i sessi.

Ma allora – è questa la domanda fondamentale di questo dialogo tra Carol e Naomi – perché il patriarcato sopravvive anche se la coscienza della mutilazione che comporta ha cominciato a farsi strada?

Certo giocano fattori sociali e culturali che hanno celebrato e rafforzato la superiorità maschile di tipo patriarcale. Ma le due studiose, attente alla emotività profonda, si chiedono che cosa impedisce di liberarsi dal patriarcato a livello intimo, personale.

Certo le due autrici privilegiano l’aspetto psicologico. Potremmo osservare, da altri punti di vista, che il patriarcato trova radici e conferme in molti aspetti, riti e comportamenti, oggetti, nomi, istituzioni e abitudini storico-sociali: l’esercito, la Chiesa, le relazioni di potere tra gli stati ecc ecc.

La domanda però resta interessante e produttiva, anche sul piano personale/psicologico. Una prima risposta, insita nell’esperienza di Noemi, è il timore della perdita, la volontà di preservarsi dalla ripetizione del dolore chiudendosi alle relazioni profonde.

Approfondendo questa prima risposta, le due autrici si chiedono quali cose non vorremmo perdere se mettiamo in discussione il patriarcato. Esso comporta anche elementi di rassicurazione, di “ordine”, di stabilità.

Gilligan contrappone il patriarcato non al matriarcato, ma alla “democrazia” intesa in modo molto forte.

La difesa patologica dal rischio della perdita è diversa dalla resistenza “sana” al dolore, che in senso positivo porta alla scoperta di una voce “umana, relazionale ed emotivamente intelligente”, al passaggio dalla recriminazione alla trasformazione, e infine alla protesta politica contro l’ingiustizia.

Il libro è stato elaborato all’epoca della prima elezione di Trump (2016: fatto considerato un “colpo di coda del patriarcato) e poi delle esperienze del movimento “Metoo”, ai “Viaggi della pace” di donne israeliane e palestinesi. Fenomeni storici in cui oggi constatiamo un peggioramento: la rielezione di Trump, la guerra di Gaza, il primato della forza guerriera.  Non siamo certo ancora uscit* dal patriarcato. Le vie di uscita sono più complicate di quanto pensavamo.

Può essere doloroso anche rinunciare alle pseudo-relazioni, alle nicchie dei ruoli, persino alle gerarchie, rassicuranti nella loro profonda ingiustizia; le pressioni sociali verso l’approvazione e il conformismo sociale continuano ad agire.

Nel libro, il dialogo tra Carol e Naomi prosegue, con molte citazioni di voci di ragazz* di bambin*. Il patriarcato può essere percepito a volte come un rifugio e l’allontanarsi dall’amore come un viaggio verso la salvezza: le difficoltà di parecchi giovani maschi a stabilire relazioni autentiche con una donna, la tendenza al distacco emotivo e al ritiro sociale, si possono spiegare così.

“I “veri uomini”, prendendo le distanze dal loro bisogno di amore e di cure amorevoli, cercano di evitare il tradimento e il dolore che essi associano all’intimità… Le “brave donne”, prendendo le distanze dai propri veri pensieri e sentimenti, evitano il dolore che deriva dalla constatazione di stare in relazioni che non corrispondono ai loro autentici desideri e interessi.” Il ciclo della perdita, così, si autoalimenta. Il patriarcato si conserva anche attraverso il silenzio e la violenza, come troppo spesso dobbiamo constatare oggi.

Il femminismo nelle sue diverse forme, di ricerca, di autocoscienza e di mobilitazione, costituisce una pratica relazionale e profonda, che va alle radici del dominio patriarcale. L’impegno coerente delle due autrici ne è un segnale importante, che incoraggia a continuare.

Vittoria Longoni


Carol Gilligan
Con voce umana
VandA.edizioni,  2024

In questo libro Carol Gilligan, psicologa, nota attivista femminista, pone alcune domande radicali che ci portano a riflettere sull’etica della cura e su come si possa contrastare il potere del patriarcato che tanto si insinua nelle nostre menti e vite.

Già negli anni Ottanta, con l’opera “Con voce di donna” (ma nell’originale inglese il titolo eraIn a different voice”) aveva proposto le sue ricerche sulla nascita del senso morale nei primi anni di vita. In particolare aveva approfondito la parola “cura” in tutta la sua complessità semantica, non confinata nella cura medica ma ampliata alla relazione e alla responsabilità verso un concreto altro.

Aveva sottolineato come quest’ultimo tipo di cura – legata alla sfera emotiva – era sempre stata delegata alle donne, provocando anche ansie e obblighi che la rendevano coatta, sacrificale e poco autentica; mentre gli uomini avevano avocato a sé un approccio oggettivo e freddamente “razionale”, legato alla giustizia formale.

Nel recente libro pubblicato da VandA “Con voce umana” Carol torna su questo tema riesaminando le sue tesi alla luce del presente e della strada che in questi decenni le donne hanno percorso.

Ripropone già nel titolo la parola “voce umana”, perché i suoi studi e le sue riflessioni si basano sui dialoghi approfonditi avuti con bambin* e giovani ragazz*. La loro voce dà una testimonianza unica e irripetibile che, a una ascoltatrice sensibile e attenta come Carol, svela anche attraverso i non detto e le esitazioni, quello che si nasconde sotto le parole mostrando le scelte obbligate e gli adattamenti che molto presto bambin* e ragazz* sono obbligati a fare per essere accettat* come donne e uomini, secondo i rigidi ruoli che la nostra società assegna.

I dialoghi testimoniano che prima della svolta verso una pretesa “maturità” i ruoli non sono definiti in modo binario: le bambine non rifiutano l’assertività, non manifestano un’attitudine ansiosa e coatta alla cura e hanno pensieri e progetti liberi e imprevisti; i piccoli maschi non si sentono obbligati a reprimere la propria sensibilità autentica, in nome di una “virilità” che divide i pensieri dalle emozioni autentiche, dai dubbi e dalle sfumature, dalle vere relazioni di cura.

Le nuove riflessioni su questi dialoghi portano Carol Gilligam a dare una prospettiva più ampia. L’etica della cura, secondo quanto propone questo recente libro, deve esprimersi come voce umana, quella di chiunque – femmina o maschio – voglia superare il patriarcato andando oltre al sistema binario di genere che distorce le capacità delle persone dividendole in maschili e femminili. La voce umana scardina il patriarcato, “è resistenza e insieme liberazione”. Mette infatti in discussione la voce che oggi pesantemente la copre.

Carol nella prefazione del libro dice: “Nessuno deve perdere la propria voce”, la voce autentica che ognun* di noi – donna e uomo – abbiamo. E ancora Carol afferma: “Una delle intuizioni più profonde a cui sono giunta nel corso del mio lavoro è che i requisiti dell’amore e quelli della cittadinanza sono gli stessi. Entrambi dipendono dal nostro avere voce, dalla capacità di comunicare la nostra esperienza e dal nostro desiderio di vivere in relazione, non da soli o murati nel silenzio”.  Queste affermazioni collegano in modo chiaro la dimensione psicologica a quella politica, sono affermazioni dirompenti che potrebbero essere la base di un decisivo cambiamento che coinvolge tutti noi umani.

Giovanna Majno


Gruppo Donne e Scrittura – Libera Università delle Donne
Pensare la cura – Curare il pensiero Confronto di esperienze
Ed. Libera Università delle Donne, 2011

Un libro sul tema della cura che non è recente ma che per gli spunti che offre può risultare attuale. Non è un saggio ma la sua originalità consiste nella sua stessa natura e struttura: è, infatti, il risultato esperienziale e di riflessione del lavoro di Donne e Scrittura della Libera Università delle Donne. Ispirandosi alla scrittura di esperienza di Lea Melandri, un gruppo di diciotto donne ha affrontato il tema della cura, ormai pressante e sentito profondamente sotto molti punti di vista.

E’ stato un pensare a partire da sé, dalla propria esperienza di figlie, di madri, di compagne. Dal racconto e dalla lettura di alcuni brani tratti da scritti di saggiste e pensatrici è scaturito il confronto tra il vissuto e il pensiero e, in un cerchio che sembrava non si chiudesse mai, il confronto tra le vite e gli eventi di ciascuna, attraversati dalla spietata sincerità delle altre sul proprio scritto che obbligava alla sincerità su sé stesse.

L’assistenza di bambini, anziani, malati, che avvenga nelle famiglie, negli ospedali, nelle scuole o nelle case di riposo, è svolta prevalentemente da donne. E sempre più si chiede loro di farsi carico anche dei guasti del sistema economico e politico in grave crisi. L’attitudine femminile alla cura appare come un destino naturale, ma è fonte, nel vissuto reale, di conflitti, ambivalenze, interrogativi.

Così si legge dalla quarta di copertina e le autrici si sono immerse proprio nei conflitti e nelle ambivalenze che hanno dipanato dopo averle dissotterrate dai nodi sepolti in anni di cura scontata per destino di donna. Affrontano il faticoso scioglimento per districare l’ambivalenza tra servizio e potere: sentirsi indispensabili è molto gratificante, così come sentirsi dalla parte della vita vera. Le donne per lo più sono restie ad abbandonare i lavori di cura, la dedizione è un loro tratto identitario da troppo tempo.

Ma si è vista una possibilità nel fare un rovesciamento: non rinunciare al valore della cura, che è poi attenzione al corpo, alla vita, alla molteplicità e complessità delle relazioni. Ma nemmeno farsi carico, come donne, di portare avanti tutto questo da sole nelle famiglie, sul lavoro; rivendicare piuttosto che tutti se ne facciano carico, che la cura diventi valore condiviso dagli uomini e affermato, realizzato concretamente nelle varie situazioni sociali, collettive, politiche

Se le donne rivendicassero la cura come valore culturale collettivo, invece di farsene carico privatamente nella pratica, sarebbe possibile toglierla dalla dicotomia di genere e rendere la sua positività una carica energetica valida per tutti, attivabile anche dagli uomini e dalla società (Liliana Moro)”

Ciò le aiuterebbe ad uscire dalla solitudine di un ruolo inflitto per destino e, soprattutto, scioglierebbe le ambiguità e le conflittualità insite in una serie di azioni ritenute strettamente private. Pur senza nulla togliere all’intimità della cura nell’ambito di una relazione personale

E’ un progetto ambizioso e certo non si può realizzare se le donne non riconoscono, loro per prime, il valore culturale della loro esperienza, se non sanno dare il giusto valore politico al loro vissuto secolare.

Ma bisogna puntare alto per cambiare un esistente così vischioso. Come diceva Agnese Seranis Piccirillo bisogna essere strabiche: con un occhio guardare in alto, le stelle, e con l’altro guardare a terra dove si mettono i piedi.

Angela Giannitrapani
Liliana Moro