venezia_idoli_ligabue_dama-oxus-seduta_collezione-sofer-londra_foto-graziano-tavan-scaledRidare visibilità alle donne della preistoria e della storia antica, interrogarsi sulla divinità femminile originaria, chiedersi come si sia instaurato il predominio maschile e perché sia stato accettato o subìto, e perché in parte lo sia ancora: un pubblico davvero folto ha seguito il 28 gennaio, con palpabile attenzione e coinvolgimento, il dibattito tra le autrici di tre libri, introdotte da Anita Sonego.

Judy Foster e Marlene Darlet, entrambe con esperienze professionali nel campo antropologico e docenti all’università Monash di Melbourne, sono le autrici di “Donne invisibili della preistoria”. Lo presenta Luciana Percovich che per la casa editrice Venexia cura la collana ”Le civette sagge”, linguista, studiosa delle religioni con ampi studi mito-antropologici. Il secondo libro, “L’altra metà di Dio” è di Ginevra Bompiani, scrittrice, editrice, saggista. Il terzo “C’era in Atene una bella donna”, è di Vittoria Longoni, docente, grecista e socia attiva della Casa.

Da questi elementi bibliografici è facilmente intuibile quanto possa delinearsi intenso l’incontro, che è andato ben oltre le aspettative. Le tre relatrici, nell’illustrare i punti salienti dei tre testi, si sono intersecate , sembrava che l’intreccio dei loro discorsi si andasse disegnando sotto gli occhi del pubblico, man mano che venivano esposte le loro ricerche Tesi e punti di vista che sono frutto dei loro studi comparati in varie discipline e del loro attraversare campi e saperi,  con solide basi documentaristiche. Tutti e tre i libri, fatte salve le specifiche caratteristiche, sono sembrati imparentati nel metodo e nell’ampiezza del respiro. E, come tutti i parenti, sembrano discendere da una comune antenata.

Luciana Percovich, con una chiarezza di cui le siamo state grate, ha illustrato le tesi delle quattrocento pagine di “Donne invisibili della preistoria” basate sulla rivoluzione culturale e metodologica di Marija Gimbutas. Un numero altissimo di reperti conforta la tesi dell’esistenza di una civiltà matrilineare nel lungo periodo che va dal Paleolitico al Neolitico: insediamenti in pianure   e non fortificati; assenza di armi da guerra; assetto sociale paritario tra donne e uomini. L’elemento divino è rappresentato da immagini femminili e maschili tutte derivanti dalla Dea Madre, che è garante dell’equilibrio tra la natura e l’umano. Centrale è dunque la figura femminile, che assume la responsabilità dell’armonia cosmica e sociale. Tutto ciò fino all’invasione dei Kurgan, popoli semi-nomadi provenienti dalla steppa russa, armati e a cavallo. Dal loro bellicoso predominio si fa datare la supremazia del patriarcato sulla civiltà matristica.  Il campo di indagine di Foster e Darlet spazia tra tutti i continenti-.

Anche Ginevra Bompiani ha operato una comparazione pluridisciplinare, restando nell’area della cultura occidentale: ha attraversato la tradizione greca ed ebraico-cristiana mettendole a confronto con gli esiti archeologici e antropologici degli ultimi decenni. Ecco che il peso della colpa originaria si affievolisce anche solo andando al libro della Genesi, riletto in una nuova e più fedele traduzione dall’ebraico. Bompiani   afferma che la prima spinta che l’ha indirizzata alla ricerca è la volontà di indagare perché la storia degli esseri viventi debba cominciare con la colpa e svilupparsi nella conseguente espiazione . La seconda è stata smascherare la mistificazione di un distorto senso della divinità e dell’umanità, protratta nei secoli.  L’autrice si è inevitabilmente imbattuta negli studi che ruotano attorno alle tesi di Gimbutas; analizzando le diversità tra il filone mito-archeologico e quello dell’archeologia tradizionale s’ intravede la natura della divinità originaria che, invece che onnipotente, punitiva e maschia era potente, sì, ma armoniosa, pacifica e femmina.

Quanto all’area greca, viene passato il testimone a Vittoria Longoni che nel suo libro ha rivelato aspetti di quella cultura mai considerati prima e mostrato sotto nuovi punti di vista alcune figure femminili. Etére, concubine, poetesse, filosofe e donne colte della Grecia antica hanno come comune denominatore di essere uscite dal cliché di donne sottomesse, perfino di schiave come le etére, attraverso la cultura, l’arte e l’immensa forza di volontà. E così Neera, Aspasia, Saffo e molte altre, nonostante le differenze di categoria e di vite, si distaccano dalle pagine scritte dagli uomini, dai processi subiti, dalla polvere che ha ricoperto le loro storie per apparirci nella novità  della loro ricerca di indipendenza economica, spessore culturale e in molti casi anche riconoscimento sociale.  Longoni per svelarle è andata ad indagare tra le pieghe delle fonti storiche, letterarie e del mito. Comparando anche lei, intrecciando, riesaminando le accuse giudiziarie mosse contro di loro, leggendo in controluce ciò che veniva nascosto.  Questa rivisitazione permette uno sguardo nuovo anche alle società in cui hanno vissuto, che appaiono più complesse di quanto tramandato.

Perché e come si è imposto il patriarcato e perché in tutti questi secoli le donne lo hanno subìto  e ancora oggi, in parte, sembrano accettarlo? E c’è speranza per un futuro di società in equilibrio tra i generi?

Alla prima domanda non è stata data una risposta definitiva, se non la convinzione da parte delle relatrici che dalla inversione di rotta nelle metodologie della ricerca possano venire alla luce elementi nuovi, così come oggi ne abbiamo in relazione alla divinità femminile. Per la seconda, si sono dette convinte che bisogna credere in un futuro di vera parità, lo richiedono e ci fanno sperare proprio queste ricerche sulle donne antiche, le ipotesi di studio, le testimonianze di contesti ancora matrilineari, la rilettura della storia antica e l’impegno dei femminismi di oggi.

Angela Giannitrapani