Eccoci con nuovi consigli. Innanzitutto recensiamo due raccolte poetiche di Vivian Lamarque, che abbiamo l’onore e il piacere di ospitare alla Casa delle Donne il prossimo 16 febbraio alle ore 18:00. La sua ultima raccolta, L’amore da vecchia” (Mondadori, 2022), contiene incantevoli versi giovani e freschi intorno al tema dell’amore e delle risorse nella terza, o quarta età. Tra le numerose raccolte precedenti, Poesie per un gatto” (Mondadori, 2007) esprime il rapporto profondo con tutta la natura, coi temi universali del tempo e della morte, in dialogo col felino di casa.
Onda lunga, di Elena Gianini Belotti (Nottetempo, 2013), è l’ultimo romanzo di un’autrice che è stata un punto di riferimento importantissimo per la formazione femminista di molte di noi e che qui si confronta coi cambiamenti dell’età avanzata.

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Vivian Lamarque
L’amore da vecchia
Milano, Mondadori, 2022

L’amore da vecchia è il più recente libro di Vivian Lamarque. Fin dal titolo la poeta mette insieme due termini che nel pregiudizio comune appaiono improponibili: amore e vecchiaia. La vecchiaia, soprattutto delle donne, è ancora uno stigma e a maggior ragione è scandalo vivere sentimenti d’amore in tarda età. Non così per Vivian Lamarque, per cui “anche vecchiaia è bellezza” (Baobab, p. 127).

Riesce nel miracolo tutto suo di scrivere versi “giovani” e freschi intorno a un tema ancora “tabù” senza edulcorarlo o negarlo. Il suono di “vecchia” scricchiola all’orecchio come quello di ossa un po’ usurate o di foglie sotto i piedi, ha una sua forza che va riconosciuta.
La vecchiaia libera la memoria, la rende viva e pulsante, può essere il porto di saggia accoglienza per chi ci proseguirà, soprattutto i nipoti amati, come nella poesia Micol seduta davanti (p. 58), non impedisce dolci sogni amorosi anche se, o forse proprio perché, sconosciuti ai destinatari.

La vecchiaia e le sue fragilità rendono più stretto il legame con tutte le creature viventi (piante e animali) perché vulnerabili, più forte la coscienza della precarietà della vita, ma anche dell’incanto dell’esserci. Nella memoria l’esperienza ritrova nuova vita, anche se dimentichiamo o confondiamo i nomi di chi abbiamo amato:
Tutti dimenticati? / no, i loro nomi ho ancora dentro bene / incisi, ma come per nebbia / confondo un poco rami e mani / colore / delle foglie e dei capelli.

E sì, gli amori non sono solo umani: in un processo metamorfico continuo, in cui le betulle sono strane giovinette dai capelli bianchi e occhi di neve, possiamo avere per fidanzato un agrifoglio, magari un albero sarà la nostra forma futura e gli animali addormentati diventano erba.

Le poesie del treno sono metafora del tempo: lanciato alla fermata successiva delle nuove generazioni, orfane del passato, mentre noi siamo già scese. Il tempo ci attraversa veloce e permette poche soste.

Anche lo stile poetico si fa più grave, distillato e trasparente come se fosse stato lasciato solo l’essenziale e limata tutta “la carne superflua”; i versi sono stati levigati, come ciottoli, dal lavoro incessante del tempo.

Il quotidiano si fa solenne, illuminato da una coscienza più intensa del senso della vita.

Vi sono nuove soluzioni stilistiche: soliloqui, colloqui, parti prosastiche, forme interrogative e versi creano una forma lirica personalissima. La poesia esprime una nuova vastità capace di abbracciare l’universo, proprio nel riconoscere la propria finitezza di creatura ma anche la propria unicità; la morte, pur comune a tutti, si presenta ad ognuno come prova ultima e misteriosa.

Però il dolore e il male della vita e la tragedia della fine trovano una compostezza stilistica in cui risuonano gli autori classici; Orazio, Virgilio (Lugete o Veneres, p. 26) e le poete e i poeti della modernità da lei amati: Dickinson, nel cui giardino poetico Lamarque si inoltra (Nel giardino di Emily D., p. 37), Penna, Caproni, Saba (anche per Vivian c’è una capretta sola: Per copiare Saba, p. 51). Il suo copiare però è un ricreare, come se la poesia delle altre e degli altri fossero lievito per la sua creatività.

Le Parche possono tagliare senza pietà i fili delle esistenze, ma le parole della poesia lasciano semi che germinano e si espandono in forma nuova.

Marilena Salvarezza


Vivian Lamarque
Poesie per un gatto
Milano, Mondadori, 2007

Lamarque rende lievi i suoi temi, anche gli strappi più traumatici della vita e le emozioni più complesse. La sua voce poetica non a caso richiama spesso l’infanzia e la natura; scioglie i traumi esistenziali senza negarli e sa farlo con una semplicità che appartiene ai bambini, o agli animali o alle piante. Attraverso le sue parole si si cerca la meraviglia nel quotidiano, si naviga tra le contiguità inestricabili del dolore e della gioia, della vita e della morte. Con versi brevi e semplici, qualche rima, stupori, sorprese, ironie, affetti, domande.

Le poesie di Lamarque sono prive delle audacie sperimentali delle Neoavanguardie; si rivolgono a un pubblico vasto, con chiarezza e semplicità.
Tra i suoi modelli poetici c’è, non a caso, Wisława Szymborska, che viene richiamata subito, nella prima pagina del libro, dall’inizio di un suo testo indimenticabile: Morire – questo a un gatto non si fa. L’empatia con questi meravigliosi animali, che in parte abbiamo “umanizzato” e che a loro volta ci possono “felinizzare” nelle lunghe ore di convivenza, offre risorse straordinarie alla poesia.

Lamarque dedica al suo felino, chiamato Ignazio, un’intera raccolta.C’è spazio per una specie di biografia poetica del gatto, delle sue gioie, desideri, gusti, rifiuti perentori e perdite. Le poesie ripercorrono la sua infanzia nella casa con giardino, poi il trasloco in un appartamento dotato solo di terrazzo e la sua giovinezza “senza giardino”. E i momenti traumatici: le separazioni temporanee perché la padrona si allontana da casa per qualche ora o perché andando in vacanza affida il gatto alla madre, peraltro ottima cuoca; il distacco inspiegabile della morte della gatta Zarina, compagna di vicinanza e di giochi.

L’umana e il gatto hanno tra di loro una comunicazione continua, una familiarità quasi coniugale:

Quando leggo di notte / la luce ti secca / mi guardi infastidito / ma Ignazio non ti crederai / per caso di essermi marito?

Nei brevi dialoghi tornano spesso i temi universali della morte, del tempo, delle separazioni e delle fragilità. Il felino ha una sua saggezza e fatalismo, desideri chiari e indiscutibili, un sano realismo, stupori e illusioni a volte diversi a volte contigui a quelli dell’umana, e molti sogni. Anche testi sono particolarmente brevi, compaiono le rime in posizioni significative; la semplicità disarmante e profonda dei dialoghi fa del gatto un interlocutore fondamentale e spiazzante, come e più di un bambino.

Bucato steso 2. La fissi teso / come fosse una micia ma è solo / un filo di vento entrato a giocare / in una bianca camicia.

La giornata è finita tornerà tra un anno / Ma non sarà più la stessa capisci? / Il tempo tutto inghiotte. / – O.k. buona notte

Balcone di via Arimondi ore dieci guarda / dal cielo è scesa una cosa / straordinaria una petunia / rosa sospesa a un filo di ragno / ondeggia nell’aria.

Mentre il sole ti bacia / ti accarezzo poi / ecco una nuvola e anch’io / devo andare / tempo scaduto / – Tutto qua? È così corta / la felicità?

– Zarina che grattavo sempre alla sua porta, morta? / Vuoi dire che non la vedrò mai più? / – Forse chissà se c’è un aldilà. / – E se non c’è? / – Ne resta il ricordo, la memoria. / – Memoria? Non ne voglio/di memoria! Voglio Zarina viva / nel suo bel balcone là / voglio che sia quello / l’aldilà.

– Comunque non ci credo / che sia morta stava benone. / – Sentiamo, morta come? / – Era malata l’hanno addormentata. / – Addormentata? che sollievo! / Scemi vedendola / dormire vi siete confusi / col morire vedendola / dormire vi siete confusi / col morire.

Ripeto la domanda / ci sarà o non ci sarà / questo aldilà? / – Forse Ignazio non lo so. / – Come non lo sai? / – Ma sì vedrai è come una specie / di giardino si diventa tutti erba, fiori. / – Fiori? un fiore io? mai! / – E perché? essere un fiore / è un onore non lo sai?

Ci vedremo presto, ti ascolteremo, dialogheremo e ci incanterai, cara Vivian Lamarque.

Vittoria Longoni


Elena Gianini Belotti
Onda lunga
Milano, Nottetempo, 2013

Penso che per molte di noi il libro Dalla parte delle Bambine di Elena Gianini Belotti – uscito nel 1973 – abbia rappresentato una lettura importante, un passo nel nostro percorso femminista, aiutandoci a vedere l’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione delle bambine nei primi anni di vita.
Abbiamo iniziato a capire che la differenza tra bambini e bambine non è innata ma viene costruita culturalmente attraverso un’educazione decisamente di parte.

Della scrittrice – scomparsa nel dicembre 2022 – abbiamo numerosi saggi, libri per l’infanzia, romanzi in cui è sempre ben presente il tema delle donne e della loro tenace ricerca di spazi di autonomia e libertà.
L’ultimo suo romanzo, Onda lunga, è del 2013. Parla degli anni che avanzano, della vecchiaia, e lo fa con una certa dose di disincanto ma anche di allegria.

La protagonista è una donna di quasi ottant’anni che si confronta con i cambiamenti che questa età inevitabilmente porta con sé: a volte li rifiuta, a volte li accetta, a volte riesce a superarli con energia e coraggio, soprattutto se c’è il gruppo di amiche con cui confrontarsi, ridere, fare nuovi progetti.

Certo la memoria vacilla, l’udito è appannato, gli inconvenienti ci sono, come negarlo? Ma nello stesso tempo ritrova in sé la voglia e la capacità di iniziare nuove esperienze e si rimette in gioco per proteggere le prime esperienze amorose di una ragazzina che fa fatica a capire i propri sentimenti.

“Insomma siamo ancora vive”, dice con convinzione l’energica ottantenne (non ne conosciamo il nome).

Forse il libro descrive un po’ di corsa le varie esperienze, avrei voluto capire meglio. C’è molto agrodolce, qualche sorriso tirato e il senso della fatica ad alzarsi ogni mattina, ma molte di noi possono ritrovare reali situazioni che ognuna con gli anni sperimenta.

Certo i libri che parlano della vecchiaia sono innumerevoli. Ecco alcuni tra i tanti, significativi per me.
C’è chi ragiona in modo profondo partendo dalla propria esperienza di donna anziana, come Diana Athill in Da qualche parte verso la fine (Milano, Rizzoli, 2010) e c’è chi scrive un romanzo per raccontare la paura del passaggio verso un’età più avanzata, come Lidia Ravera in Il Terzo tempo (Milano, Bompiani, 2017).
C’è chi tratteggia una vecchiaia libera e intensa, che gode le diverse sfumature della vita e che prova sentimenti ancora forti, come la poeta Viviana Lamarque nella sua ultima raccolta L’amore da vecchia. C’è chi dialoga con le donne e ne coglie le esperienze più significative come la sociologa Marina Piazza in La lunga vita delle donne (Milano, Solferino, 2019).

Lunga vita per chi di noi si inoltra nel tenebroso e potenzialmente fertile terreno della vecchiaia.

“Onda lunga”, che va e viene sull’ultima spiaggia illuminata da un tramonto dorato, come vediamo sulla copertina del libro.

Giovanna Majno 

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