di Tina Faglia, psicoanalista, socia della Casa

Durante l’ultimo “Spazio Partecipato”, la riunione aperta a cui partecipano le socie della Casa per discutere temi generali, sono stata colpita da un commento del tipo: in Comune c’è la tale… però non è femminista. Durante lo stesso Spazio Partecipato era emersa la proposta di individuare dei temi da approfondire nel corso dell’anno. Da lì la domanda: cosa significa essere femminista oggi? Cosa distingue una femminista da una donna altra?

Da lì l’idea di proporre uno spazio di riflessione che potrebbe coinvolgere su questo tema anche i vari movimenti di donne, “femministe” e “non,” presenti sulla scena milanese.

Sono tornata col pensiero all’esperienza fatta negli anni ’70. A me sembra di ritrovare tutt’oggi alcuni aspetti del femminismo di allora, a 50 anni di distanza. Mi riferisco in particolare alla spaccatura allora esistente all’interno del movimento. Da una parte c’era chi considerava esaustiva del femminismo la ricerca dell’identità femminile attraverso l’autocoscienza e/o il percorso psicoanalitico. Un femminismo che escludeva la partecipazione attiva alla vita politica e sociale. Ricordo a titolo esemplificativo il rifiuto di aderire alla battaglia per il diritto all’aborto.

Per contro un’altra parte del femminismo ha cercato di coniugare la ricerca di una identità femminile con la partecipazione attiva alla vita sociale e politica. E qui la pratica femminista si intreccia alla pratica politica con l’obiettivo di modificare la cultura antifemminile esistente.

L’aspetto comune a entrambe queste diverse posizioni è stato comunque quello di essere “contro”, e cioè la contrapposizione.

Personalmente penso che qualsiasi movimento culturale non possa non avere un’evoluzione. Il rischio di una posizione poco evolutiva sarebbe inevitabilmente quello di essere antistorico ma ancor più di inibire quella ricerca di identità che il femminismo ritiene prioritaria.

A questo proposito mi viene da sottolineare che noi siamo esseri relazionali e da questo consegue che il sentimento di identità si costruisce inevitabilmente nella relazione e attraverso la relazione con gli altri e con il mondo. La ricerca dell’identità non può realizzarsi né escludendo né escludendosi. La contrapposizione è stata sicuramente inevitabile e storicamente ha avuto un senso, ma ora mi chiedo se non sia giunto il momento di andare oltre. Anche perché la contrapposizione non porta molto lontano.

È possibile che con il passare del tempo e a seguito dei cambiamenti sociali e culturali, anche i contorni del senso di identità femminile possano essere cambiati. Potrebbe essere importante ricercare e capire in che cosa consista la nostra diversità, di che cosa sia fatta la nostra specificità femminile, la nostra diversa sensibilità, le diverse capacità che potrebbero per esempio suggerire soluzioni diverse agli stessi problemi.

Interrogarsi su questo penso ci aiuterebbe a delineare i contorni di un’identità femminile condivisa, al di là di quanto individualmente percepito. Ci consentirebbe anche di confrontarci con i pregiudizi antifemminili che esistono non solo in alcuni uomini ma anche in tante donne. Infine, non meno importante sarebbe darne testimonianza perché solo così potremmo contribuire al cambiamento culturale che da sempre auspichiamo. In tanti momenti recenti per esempio, ho sentito la mancanza della voce femminile di fronte a episodi di violenza dilagante a tutti i livelli.

Mi sembrerebbe evolutivo se fossimo capaci di andare oltre la contrapposizione a favore di una proposizione di cambiamento che valorizzi la diversità e che la utilizzi come risorsa senza giudizi o pregiudizi di valore. E ancora mi piacerebbe andare oltre le accuse per interfacciarci con il mondo proponendo alternative.

Cito, per spiegarmi meglio, un tema che mi sta particolarmente a cuore, la violenza a tutti i livelli. Mi va bene che si manifesti contro il femminicidio ma penso che la lotta contro la violenza sulle donne trarrebbe molto giovamento se le donne si battessero contro ogni forma di violenza verbale e agita. In altri termini, il femminismo deve occuparsi solo dei diritti delle donne e/o anche dei diritti della collettività?

Mi è stato detto che a Milano esiste una rappresentanza di almeno quattro o cinque concezioni diverse di femminismo. Penso che sarebbe importante conoscerle e magari aprire un confronto per approdare a definire i contorni del femminismo della Casa delle Donne. Sarebbe una base importante a cui riferirsi nel momento in cui si volesse prendere posizione e proporre un’alternativa alla cultura esistente.

A me sembra che il femminismo non possa più essere solo autocentrato ma debba avere una identità propria, che si esprime appieno se sa pensare ai diritti di tutti.

Qui alla Casa certamente si organizzano eventi e attività “al femminile” ma mi chiedo, vi chiedo, se questo sia sufficiente a costruire insieme un pensiero condiviso, una cultura condivisa. La mia impressione è che questo ancora non sia stato fatto. La mia vuole essere non una critica ma una proposta in tal senso.

E allora, per concludere, la mia domanda è: qui, alla Casa delle Donne di Milano, come donne e/o come femministe, che obiettivo di cambiamento culturale abbiamo?

Chi volesse continuare il dibattito, o intervenire, scriva a comunicazione@casadonnemilano.it per l’eventuale pubblicazione.