Un passaparola tra noi del Gruppo Tavolo Fem: “È una mostra da non perdere”, un allegro “Andiamoci insieme” ed ecco in otto ci siamo trovate alle 11:30 davanti all’ingresso del PAC  in via Palestro, martedì 15 aprile. Tra uno scroscio di pioggia e l’altro.

Shirin NeshatEntrate, siamo state subito catturate dal primo video proiettato nella grande sala buia e ci siamo sedute davanti a due maxi schermi su cui scorrevano le immagini di due racconti, quello della donna e quello dell’uomo, racconti a volte simultanei a volte divergenti. Due punti di vista su un incontro casuale lungo una strada di un villaggio rurale dell’Iran che conduce a un luogo in cui le donne – tutte vestite con lunghi drappi neri e il capo velato – siedono, divise dagli uomini da un alto tendaggio nero. Qualcuno sul palco narra una parabola coranica che parla di seduzione e del saper resistere a questa forza che è peccato. Ma la donna e l’uomo riescono a intravvedersi attraverso il tendaggio e gli sguardi si incrociano. Tutto avviene nel silenzio.

Non sapevo di cosa parlasse. Resistere alla seduzione è una indicazione centrale nella storia delle donne e degli uomini. La grande forza delle donne e di quei maschi che lo fanno è cosa di valore! La copula porta figli, responsabilità, cambia completamente la vita Non sconfesso le attenzioni date alla difesa delle condizioni in cui è stato voluto tenere a bada questa “forza”. Prima della pillola, la forza già devastante dello stupro, frequentissimo, lo era anche di più per la comparsa quasi immancabile di nuovi nati da accudire  e alimentare, ed erano a carico della vita delle madri.

Usciamo dalla sala scambiandoci idee sul significato di questo video, poi veniamo catturate dalla forza delle fotografie – tutte in bianco e nero – dove grandi volti di donne e di uomini ci fissano. Sulla loro pelle sono impressi passi del Corano o versi di poeti, l’alfabeto arabo trasmette eleganza e fascino. I volti silenziosi ci interrogano.

Entriamo poi a piccoli gruppi nelle varie sale dove ci sono altre foto e si proiettano video. Sono video impegnativi, lunghi, che si svolgono in sequenze lente, quasi ammaliatrici. Alcuni mostrano maschi carichi di potere che guardano donne che in modi diversi sottostanno a questo potere. Un video sconvolgente mostra – in modo simbolico, in paesaggi lunari – il rapporto tra una madre e una figlia.

L’importanza della/e madre/i nel dare la accettazione sociale l’avevamo ben messa in evidenza nel nostro femminismo degli anni Settanta. Le madri parlavano per il padre e convincevano le figlie ad ubbidire. Oggi ancora in molti luoghi e situazioni, hanno una grande responsabilità politica e i figli dipendono da loro. L’autrice infatti si vede scacciare dalla madre e dalla società avendo maturato una indipendenza di pensiero che non  può essere indipendenza affettiva. La comunicazione tra generazioni la dobbiamo tenere bene in conto noi politiche.

Shirin NeshatEntriamo e usciamo dalle sale, ci scambiamo impressioni e emozioni. La parola che ricorre tra noi  è “potente”, “sono messaggi potenti”. Dopo due ore non siamo riuscite a vedere tutto, molte si ripromettono di tornare, alcune devono andare verso altri impegni, alcune riescono a ritagliarsi il tempo per un panino insieme, chiacchierare  e condividere pensieri. Sulla “potenza” dico che è buona perché sincera in quello che lei sente e trasmette. Il contrario dell’aggressione ideologica.

La vediamo nei tatuaggi dei maschi invece: l’uccisione del nemico, il gusto della eliminazione con la morte, il sangue come soddisfazione. Quanto c’è da dire su tutta la vicenda del sangue e dei tatuaggi!

 

Ancora due brevi notizie su Shirin Neshat, artista e regista nata in Iran e che ora vive in esilio a New York. Solo dopo la morte di Khomeini ha potuto ritornare brevemente in Iran.

Continua a sperimentare con la fotografia, il cinema, i video, l’opera lirica, modi per mettere in discussione problematiche legate al potere, alla religione, al genere, al rapporto tra passato e presente, tra Oriente e Occidente, tra l’individuo e la collettività.
Giovanna  e riflessioni di Antonella

 

Ancora sulle scritture nel corpo, forse è proprio questo l’argomento della mostra. La cultura sociale ti si inscrive dentro il corpo. La tua esperienza ti domina, è una esperienza affettiva indispensabile al proprio crescere. Mutare è un profondo percorso vissuto che chiede pietà.
Antonella

 

Vorrei condividere anch’ io una riflessione su questa esperienza.
Tutto mi è apparso potente, forte, denso di significato. Sicuramente tornerò: sento il bisogno di reimmergermi in questi contrasti così vivi: donna-uomo, bianco-nero, leggerezza-violenza. Il video The Fury, proiettato nella sala in fondo su doppio schermo, mi ha particolarmente colpita: rabbia e paura, energia e bellezza, danza sinuosa e potere brutale si intrecciano in una forma espressiva commovente e travolgente. È stato così toccante che ho apprezzato alla fine il buio della sala … Le immagini, tutte forti, si sono impresse dentro di me, le sento aggrappate alla memoria che continuano a lavorare anche dopo. È come se chiedessero di essere riviste, di essere lasciate sedimentare per poi ritornare a nutrire nuove riflessioni. Anche per questo, sento che è necessario tornare: per consolidare e approfondire, per lasciare che altra esperienza maturi dentro di me.
E poi c’è stato il piacere della condivisione: vivere questa visita insieme alle amiche del Gruppo Tavolo Fem ha reso tutto ancora più ricco. Scambiarsi sguardi, impressioni, parole… è stato un modo prezioso per dare voce alle emozioni – e anche per sostenerci a vicenda di fronte a questa esplosione emotiva, intensa e talvolta destabilizzante. È un’esperienza che mi piacerebbe ripetere.
Gabriella

 

Potente, sì. Penetrante, anche. Questa mostra colpisce e lascia un segno profondo. La poesia istoriata sui corpi di donne e uomini, immagini fortemente evocative, mi ha ricondotto alla storia e alla cultura di un Medio Oriente che, per sua natura, intreccia passato e presente, ma anche Oriente e Occidente.
Mi hanno rapita la profondità degli sguardi, la fierezza dei corpi esibiti, l’eleganza del portamento e del gesto, anche quando carichi di tensione o di forza.
La bellezza della scrittura persiana spicca ovunque, con grazia e decisione. Poco importa il significato di ciò che è scritto: il messaggio arriva ugualmente con forza e chiarezza.
Le fotografie e i brevi filmati in bianco e nero sono densi di simbolismo; tutto si intreccia in una sequenza temporale solo in apparenza lineare. Dietro si percepisce un lungo lavoro, anni di ricerca e di collaborazione con altri artisti, che hanno reso possibile questa intensa sinergia espressiva.
Abbiamo attraversato insieme questo spazio coinvolgente e insieme lo abbiamo lasciato, con dispiacere ma con la promessa di ritornare.
Cinzia

 

Nei video, le sequenze di immagini, sono inserite in un ambiente quasi onirico, non collocabile in un “dove”. Questo suscita un senso profondo di solitudine e desolazione che rimanda ad un “universale presente“.
Tina

 

La cosa che mi ha colpito maggiormente di questa mostra è che l’artista sembra implicare che le prevaricazioni sulla donna del mostruoso regime Iraniano siano l’espressione di un patriarcato, che, sotto molti aspetti, esiste in sostanza anche in Occidente. Video altamente simbolici, con la efficace metodologia del doppio schermo, rivelano intrecci e confronti di punti di vista maschile e femminile che sono molto impattanti nella loro universalità. Esempi sono la cantante che si deve esibire senza pubblico, di fronte ad una controparte maschile che invece può farlo, o la terribile raffigurazione di una donna svestita, pesta e sanguinolenta (le guardie che la accerchiano la guardano, fumando sigarette. Momenti terribili. Lei poi fuggirà nella normalità della strada, dove il suo urlo sembrerà attivare nei passanti, in qualche modo, degli spontanei atti di insurrezione urbana). Vediamo in un altro video che le donne contrappongono ad una cerimonia maschile di presa di una Bastiglia, un rito dalle movenze più poetiche, che porta una barca in un mare. La simbologia è allusiva anche per noi.
L’artista stessa, che è Iraniana ma vive a New York, prova un disagio analogo recandosi sia in una moschea che in una chiesa occidentale, in filmati speculari. L’Occidente non è diverso.
Io penso che la prevaricazione del patriarcato sulla donna, come vediamo in questa mostra in tante forme, si esprima ‘sempre’ come una guerra sul suo corpo. La scrittura sulla pelle nelle foto dell’artista porta il segno della cultura su quel corpo negato, velato, martoriato. Sono molto interessanti. Il titolo stesso della mostra, The body of evidence, che potremmo tradurre forensicamente come ‘l’insieme delle prove’, sembra portare il corpo in primo piano, con il suo racconto che dice i suoi segni e le sue cicatrici.
Le persone con le scritte addosso sono solo apparentemente politiche. Infatti non vediamo differenza sostanziale tra le foto denominate ‘patrioti’ o ‘cattivi’ (o anche ‘masse’).
Le scritte ritornano sulla pelle di soggetti americani fotografati nel New Mexico. (In un doppio video, una studentessa chiede a queste persone comuni cosa sognano di notte, mentre nell’altro schermo, posto accanto, cede le informazioni ad una società segreta di dossieraggio nascosta all’interno di una montagna. Anche l’Occidente manipola).
Ho avuto la sensazione che la mostra, con questo abbondante materiale, descriva per noi la sofferenza della donna nella sopraffazione fatta dall’uomo, ma anche la sua preziosa vitalità, umanità e creatività che invece l’uomo, nella perversione del patriarcato, sembra aver smarrito.
Paola

 

La mostra è aperta dal 28 marzo all’8 giugno 2025.


RaptureSN051, 1999
© Shirin Neshat
Courtesy l’artista, Gladstone Gallery e Noirmontartproductions

Rebellious Silence, 1994
© Shirin Neshat
Courtesy l’artista e Gladstone Gallery
photo in copertina  Rapture (women_show_hands) 1999
© Shirin Neshat
Courtesy l’artista, Gladstone Gallery e Noirmontartproductions