Presentazione del libro di Laura Corradi

”Il femminismo delle zingare. Intersezionalità, Alleanze, Attivismo di genere e Queer”

libro corradi immagineQuali aggettivi positivi e negativi assocereste alla figura della zingara? Questa è una domanda che Laura Corradi, docente di “Studi di genere e metodo intersezionale” all’Università della Calabria ha posto ai suoi studenti e alle sue studentesse. La risposta non sarà molto diversa da quella che vi immaginereste. “Povera, umile, vulnerabile, debole, indifesa” sono tra le espressioni più ripetute nella colonna dei termini positivi; tra le parole negative invece si trovano spesso “ladra, noiosa, infastidente e sporca”.

E’ partire da tale contesto che, prendendo in considerazione il punto di vista e le sfide delle attiviste zingare, Corradi affronta un fenomeno sociale scarsamente conosciuto in Europa come il femminismo delle donne rom, gitane e traveller, focalizzandosi sulle soggettività che producono saperi e lotte contro il sessismo, il classismo, la rom-fobia, le espressioni di anti-zingarismo tutt’oggi radicate nel tessuto sociale. Il volume offre una brillante analisi delle ricerche sociologiche recenti che documentano le diverse forme di oppressione multipla, ma anche agency politica e attivismo di genere in queste comunità nei vari paesi europei.

foto_laura_La comunità zingara è «la più demonizzata d’Europa, soggetta a costanti e ripetute stereotipizzazioni, oggi nuovamente assurta a capro espiatorio, in particolare a causa delle politiche neoliberali e della crisi economica». Non a caso l’anti-zingarismo risulta oggi “l’unica forma di razzismo socialmente accettata in Europa”.

L’apertura del volume è dedicata ad alcune riflessioni terminologiche non di poco conto visto che definizioni e categorie non sono mai neutre e da questo punto di vista la parola “Zingara/o” non fa certo eccezione. Introdotto nel XV secolo il termine viene utilizzato ancora oggi per designare genericamente chi ha vita nomade e nell’immaginario collettivo si è sedimentata l’idea che vuole le Zingare come rapitrici di bambine/i  e ladre, propense a prostituirsi e madri del tutto inaffidabili e gli uomini come individui violenti e stupratori. Il termine, pur essendo spesso utilizzato come insulto – «sinonimo di vagabondo, pigro, sporco, incapace di lavorare, inaffidabile, falso e astuto. Essere Zingari nelle società occidentali rappresenta un’alterità radicale» – può dirsi oggi un termine conteso: si può criticarne il ricorso in quanto su di esso si è sedimentato un senso spregiativo, ma si può anche decidere di ricorrervi nonostante il retaggio negativo. «La parola è stata rivendicata da ricercatrici/ori e attiviste/i di diversi gruppi etnici e non etnici allo scopo di rendere possibile la comprensione e la valorizzazione delle differenze interne – nella consapevolezza di essere accomunati dallo stesso tipo di oppressione. Infatti, tutti i popoli Rom, Sinti, Manouche, Kalé, Yanish, Gitani, Camminanti, Gens du Voyage Traveller sono stati chiamati Zingari e hanno affrontato l’anti-zingarismo e le persecuzioni» .

Oltre che per tali ragioni Corradi sceglie di ricorrere alla parola “Zingara/o” anche per un motivo di natura politica: «questa parola indica un crocevia di lotte collettive in parte condivise, un luogo comune a partire dal quale costruire alleanze».

Corradi individua motivi che rendono significativa l’azione femminista zingara.

Il primo ha a che fare con l’incremento dei fenomeni di antizingarismo e di attacchi razzisti/xenofobi. A tal proposito i media insistono spesso nel denunciare il permanere delle comunità in uno stato di arretratezza culturale e tendono a sfruttare i casi di violenza di genere «per spettacolarizzare un evento e rappresentare gli uomini rom come brutali, criminalizzando l’intera comunità».

Secondo Corradi il femminismo delle Zingare permette di mantenere “la direzione del cambiamento verso il rispetto per le differenze, l’empowerment e la coesione sociale nelle comunità e insieme facilita la comunicazione con il mondo esterno sulle questioni di genere”.

Il secondo elemento per cui “il femminismo delle Zingare si rivela essenziale consiste nel fatto che nessuna comunità può superare un’oppressione secolare conservando forme di assoggettamento interne“.

Sulla violenza domestica i progetti di ricerca-azione tra cui quello Empow-Air considerano la violenza un elemento strutturale delle società dominate dagli uomini, ma le zingare devono fronteggiare anche la violenza di Stato, le molestie della polizia, gli attacchi di rom-fobia, gli sgomberi forzati, forme materiali e simboliche di razzismo istituzionale, dando per scontato che le donne devono mantenere e sostenere l’identità e cultura romani. E’ considerando tutti questi elementi che in diverse realtà europee sono stati costituiti dalle attiviste di genere spazi sicuri  con la formazione di gruppi di pressione tra pari per poter parlare di questioni intime, sessualità, verginità, molestie e affrontare la violenza domestica.

Il contributo dell’intelligenza e dell’abilità delle donne nella vita sociale e nei processi decisionali collettivi, così come nelle famiglie, è una risorsa vitale per la piena fioritura di una primavera zingara (Roma Spring). Lo stesso si può dire per le pratiche inclusive che riguardano coloro che vengono percepite/i come “diverse/i, ovvero le persone LGBTQ.

Risulta fondamentale “la consapevolezza culturale della complessità dei processi alla base della formazione dell’identità, accompagnata da una diversa considerazione per le opere d’arte e la musica, le memorie e il linguaggio, nonostante il rischio di mercificazione cui sono esposti gli artefatti culturali“.

Il dialogo con Dijana Pavlovic fondatrice dell’Alliance for European Roma Istitut for Arts and Culture e attrice, dà l’occasione di un esame di questi temi.

Manuela Pennasilico

 

VENERDI 17 MAGGIO 2019

dalle 18.00  alle 20.00

In Via Marsala 8, Stanza Arancione

A cura del gruppo Laboratorio Interculture della Casa delle Donne di Milano