Report del convegno “Potere/volere essere madri e padri” Milano 7 febbraio 2015

Alla fine di quattro ore di parole – frutto di riflessioni, di competenze professionali, di esperienze di vita, di un lungo lavoro preparatorio fatto insieme da Casa delle Donne e Casa dei Diritti – quello che più ti risuona dentro sono le voci e le storie. Di donne e di uomini, di coppie etero e omo, di single. Di chi ce l’la fatta, a diventare genitore, e di chi non ce l’ha fatta, o non ha voluto diventarlo.

Voci di uomini – per una volta hanno cominciato loro – restituite da Silvano Piccardi: padri un po’ impacciati di fronte alla pancia della compagna che cresce, o al parto (“c’ero ma non mi ricordo nulla”), o ai primi cambi di pannolini.

E poi Luciano, che dice “diventare genitori è la cosa più bella che può succedere a un essere umano” e ti racconta quanto poco scontato sia stato per lui, che ha percorso cinque anni e mezzo di strada, emotiva e materiale, con il suo compagno per avere, attraverso una “gestazione di sostegno” negli Stati Uniti, i loro due gemellini.

E ancora Massimo, sterile per un problema cromosomico, che ha trovato la compagna giusta con cui iniziare un percorso di procreazione proprio quando in Italia è stata approvata una legge, la Legge 40, che li ha costretti a una lunga serie di tentativi all’estero.

Voci di donne. Arianna Scommegna recita brani delle “Difettose” di Eleonora Mazzoni, bel romanzo sull’esperienza di Procreazione medicalmente assistita. E la stessa autrice interviene per invitarci a non aver paura che la tecnica prevalga sulla natura e l’uomo su Dio, perché “la vita c’è, e non è mai artificiale”, perché la tecnologia medica “non banalizza il mistero della vita, ma anzi dà a chi intraprende quel percorso una ricchezza in più”.

Sara, “madre sociale” insieme ad Ada di due gemelli di quasi quattro anni, ci porta piccoli flash di vita quotidiana (“Voglio due mamme” dicono i bambini quando una delle due esce) e di vita relazionale, alla scuola materna per esempio. “Agli occhi di chi ci conosce siamo una famiglia reale, direi proprio naturale” dice.

Rossella ricorda la solitudine con cui, insieme al suo compagno, ha intrapreso undici anni fa il percorso di fecondazione omologa che l’ha portata a essere madre di due figli e poi a battersi per anni nell’associazione Infertilità onlus: “Non rivendichiamo il diritto a diventare genitori, ma il diritto di provarci, di non essere ostacolati” dice.

Vittoria rievoca quello stesso percorso che, dopo un insuccesso iniziale delle tecniche l’ha portata a due gravidanze spontanee poi purtroppo non giunte a termine: un’alternanza di esperienze da cui è sorta “una nuova consapevolezza e maturità di coppia che ha consentito poi una felice genitorialità adottiva”, e una coscienza più diretta e concreta di cosa significhi l’ovulazione; e l’importanza per lei  di un contesto (quello “laico”  della PMA)  in cui il suo desiderio di maternità fosse riconosciuto, accolto e  agevolato nei limiti del possibile.

Un’altra Eleonora, autrice di un libro sulla non-maternità (“Una su cinque non lo fa”) ci ha parlato della sua idea della maternità come “di un abito che non a tutte sta bene”, ma anche di una scelta per molte difficile, o continuamente rinviata a causa del precariato e della crisi del welfare. E nel nome delle conquiste delle donne che ci hanno liberato dalla “maternità coatta” ha rivendicato la sua – e di tante altre – libertà di scegliere, “anche quando scegliere vuol dire rinunciare”.

Ogni testimonianza, e l’insieme di tutte, ci ha dato un quadro vivo dell’estrema complessità del tema che era stata sottolineata fin dall’inizio della discussione.

Complessità di scelte personali che si intreccia con l’evolversi sia delle tecniche che rendono possibili maternità una volta precluse per infertilità o per altri motivi (omosessualità, assenza di un compagno), sia del quadro legislativo e dei diritti che è in continuo movimento in Italia e nel mondo, come ha indicato Antonia Paternò, referente per lo Sportello Lgbt della Casa dei Diritti aprendo i lavori.

“Noi possiamo forse dare solo un’istantanea di come è cambiata e sta cambiando la maternità, nel passaggio da ‘dover essere madri’ a ‘poter essere madri’” ha detto Barbara Mapelli (Casa delle Donne) nella sua introduzione. E partendo dalla constatazione che in Italia si fanno pochi figli, ha mostrato diversi pericoli: dal ritorcersi sulle donne di una nuova retorica della maternità che le espone al dover essere “madri perfette” , al rischio che si ripresenti una correlazione, superata dal movimento delle donne negli anni 70, tra femminilità e maternità. D’altra parte, anche l’immagine patinata che i media ci offrono dei nuovi padri rischia di offuscare una ricerca vera che molti uomini stanno iniziando a fare sulla loro paternità.  E ancora, su temi che riguardano la vita, gli affetti, le scelte oggi può aprirsi un dilemma, forse anche un conflitto tra l’assunzione di responsabilità individuale e il sistema dei diritti e dell’etica pubblica. Per questo anche questioni come la procreazione medicalmente assistita, con tutti i suoi risvolti medico-scientifici, di diritto ed etici interrogano profondamente ciascuno di noi.

 

Nella prima parte (Il desiderio e le promesse. Dialogo con una ginecologa sulla Procreazione medicalmente assistita) Maddalena Gasparini (Usciamo dal Silenzio) è partita da una riflessione già avviata diversi anni fa sull’impatto della Pma con il femminismo ( “Negli anni 70 avevamo conquistato la possibilità di sottrarre la sessualità femminile all’obbligo riproduttivo, la Pma chiude il cerchio consentendo al contrario la procreazione senza sessualità e senza relazione”) per poi dare la parola a Marina Ravizza, ginecologa con lunga esperienza di Pma. Ravizza ha presentato i dati relativi ai cicli di Pma effettuati in Italia e alle percentuali di successo (il 2,2% dei nuovi nati è concepito con queste tecniche) concentrandosi sui temi oggi più critici: la bassa percentuale di successo al crescere dell’età della donna e la conseguente tematica della donazione di ovuli. Gasparini ha rilevato che il divieto di fecondazione  eterologa imposto dalla Legge 40 dal 2004 e solo da poco tempo caduto grazie alle sentenze della Corte Costituzionale ha chiuso la possibilità di discutere temi delicati come la donazione di gameti, la comunicazione ai nuovi nati della modalità riproduttiva (naturalmente con tutte le tutele e le cautele del caso), l’anonimato di chi dona, la relazione fra le madri “portatrici” e chi ha “commissionato” il nuovo nato.

Temi che il convegno non poteva affrontare in modo definitivo e su cui Ravizza ha portato diverse esperienze in atto in Europa e nel mondo. Per esempio, in Svezia e Finlandia è prevista o addirittura è obbligatoria l’informazione sull’origine biologica, mentre organizzazioni internazionali come l’Eshre (European Society of Human Reproduction and Embryology) si interrogano su come conciliare il diritto del donatore all’anonimato con il diritto del nuovo nato a conoscere le proprie radici biologiche. Anche sulla donazione di ovuli ci sono diverse pratiche, che vanno dai rimborsi o da alcuni “benefit” concessi a chi accetta di subire le invasive procedure per il prelievo di ovuli fino alla gestazione surrogata, o gravidanza sostitutiva, consentita negli Usa, in Canada e in molti paesi dell’Est.

 

Nella seconda parte (Nuovi modi di nascere e nuovi diritti), Cinzia Piciocchi, costituzionalista, componente del Gruppo di ricerca BioDiritto (Università di Trento) ha posto due questioni. La prima, particolarmente rilevante dal punto di vista delle donne, è il fatto che la Pma porta, almeno in parte, fuori dal corpo della donna il processo procreativo. Mentre la legge 194 ha blindato ogni decisione nella donna, che può prescindere dal parere del partner per accedere all’aborto, ora compaiono una nuova responsabilità dell’uomo nei confronti dell’embrione  e anche nuovi diritti. “La Corte Costituzionale ha sancito che l’uomo che dà il consenso alla fecondazione eterologa non può poi cambiare idea con un disconoscimento di paternità” precisa Piciocchi, che elenca numerosi altri casi: se una coppia si separa dopo aver dato origine a degli embrioni, la donna non ha automaticamente il diritto di impiantarli se il partner non è d’accordo. Anche nell’ambito della fecondazione post-mortem si pone fortemente la questione del consenso. Altre questioni per il momento precluse in Italia riguardano il divieto di accedere alla Pma per i single, per gay e lesbiche, per donne anziane.

La seconda questione è se esiste un diritto alla procreazione. Secondo Piciocchi, i diritti non sono mai assoluti (per esempio un medico può rifiutare la Pma a una donna di oltre 50 anni) e anche quando sono inseriti nelle nuove Costituzioni, come in alcuni Paesi in cui la Carta è recente, sono più libertà che diritti. E nessuna libertà è assoluta.

In realtà i problemi più concreti oggi in Italia sono il diritto del figlio a conoscere le sue origini, riconosciuto dalla Corte di Strasburgo, che è in contrasto con il diritto all’anonimato del donatore (forse si potrà prevedere il diritto all’accesso ad alcune informazioni) e la questione dell’ovodonazione che oggi è l’ostacolo principale alla pratica della fecondazione eterologa. Su questo dobbiamo ricordare che è inutile nascondersi che, in questo caso, la questione si può facilmente risolvere all’estero. Certo non dobbiamo omologare le leggi di tutti gli Stati, ma essere consapevoli che c’è sempre una discriminazione tra chi ha il denaro per andare all’estero e chi no.

Marina Ravizza interviene ricordando che l’Italia è arretrata sul tema dell’ovodonazione (come in generale sulla donazione di organi) e che le donne che accedono alla Pma hanno in media 37 o più anni, mentre il Ministero della Salute prevede la donazione di ovuli fino a 35 anni.

Benedetta Liberali, avvocata costituzionalista che sostituisce Marilisa D’Amico indisposta, riparte dalla domanda sul diritto a procreare. E ripercorre le tappe dello smantellamento, a colpi di ricorsi, della Legge 40: nel 2009, quando la Corte Costituzionale cancella l’obbligo per il medico di impiantare tutti gli embrioni frutto di Pma, e nel 2014 quando la sentenza 162 dichiara illegittimo il divieto di fecondazione eterologa in quanto viola l’autodeterminazione della coppia nel formare una famiglia con figli e il diritto alla salute. La Corte inoltre ha dichiarato che le scelte procreative sono incoercibili (non si possono imporre) e ha riconosciuto l’esistenza di una discriminazione tra chi può accedere all’eterologa e chi no, anche per motivi economici. Quanto al nato da fecondazione eterologa, questo è già tutelato dalla stessa legge n. 40 che vieta l’anonimato e il disconoscimento da parte della coppia.

Occorre inoltre ricordare che il nostro ordinamento tutela la “procreazione cosciente e responsabile” (primo articolo della legge 194/1978), con inevitabili conseguenze anche in materia di legittimità della diagnosi genetica preimpianto.

Ultima questione, il divieto di surrogazione di maternità: molte coppie vanno all’estero e poi richiedono la trascrizione dell’atto di nascita. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che anche se uno Stato vuole vietare la surrogazione deve comunque assicurare una tutela ai nati da questa tecnica, prevedendo una disciplina adeguata.

A fronte di queste considerazioni si può immaginare che ulteriori questioni – attinenti anche alla monogenitorialità e omogenitorialità – verranno portate davanti alla Corte Costituzionale.

Impossibile dare una conclusione a un tema e una realtà così complessa. Miriam Pasqui (Casa dei Diritti) ha ringraziato sia il gruppo che ha lavorato per costruire l’incontro, sia tutte le persone che hanno dato voce, sentimenti e corpo alle riflessioni, peraltro ampie e profonde, delle giuriste e delle mediche. “E’ stato importante” ha detto, tematizzare la questione della procreazione a partire dalle conquiste e dalle discussioni del movimento delle donne, che oggi vuole coinvolgere anche gli uomini partendo da una consapevolezza importante delle donne nel rapporto con il corpo. “E’ un primo passo, sappiamo che su molte questioni ci sono posizioni diverse anche tra noi, ma andremo avanti perché ci sono aspetti da approfondire e questioni in evoluzione” ha concluso.

Nicoletta Gandus (Casa delle Donne) ha ringraziato tutti coloro che hanno portato verità nelle loro parole  (“Mi avete fatto piangere perché in ciascuna di voi ho trovato un pezzo della mia storia”) e ha dato appuntamento a prossime tappe da percorrere insieme sul rapporto tra donne e diritti: “Oggi ne parliamo, domani sarà  tutto ancora diverso”.

 

Grazia Longoni