ringraziamo guidone.it per la foto

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Vi sono momenti in cui occorre andare oltre, perché le parole a volte pesano come pietre ma altre volte subito svaniscono come vuote chimere. Cosa dire delle meravigliose coste della Sicilia, di Malta, della Spagna del Sud, della Grecia, trasformate in immensi cimiteri marini dove s’infrange l’ultimo barlume di umanità? Forse dovremmo finalmente deciderci ad andare in quei luoghi con i nostri corpi, le presenze, le voci, o gli assordanti silenzi.

Donne di ogni paese europeo, determinate a esigere che la legislazione sull’immigrazione venga totalmente cambiata, basandosi sul diritto primario di ogni essere umano a spostarsi liberamente su questo pianeta che a tutte e tutti appartiene. Un obiettivo chiaro per cui lottare. Un obiettivo che in molte e molti già si pongono (come il Centro per la pace e i diritti umani di Viterbo).

Le donne i confini imposti li conoscono bene. Dal rifiuto di quei confini che ci tenevano chiuse nel privato è iniziata la nostra lotta, da quei confini arbitrari abbiamo voluto e saputo liberarci.

Anche i confini politici sono pure invenzioni. Li abbiamo creati nel tempo della storia violandoli o negandoli ogni volta che è servito a qualche potenza imperiale. Si può lasciar morire milioni di persone in nome dei cosiddetti confini? E quale confine potrà mai essere la liquida distesa del mare? Il mare non è un confine, è uno spazio attraversabile, se le condizioni climatiche lo consentono, così come ogni terra.

Dietro di noi stanno millenni di scambi per terra e per mare, a cavallo, in barca, a piedi, tra le dune e tra le onde, su piste carovaniere, in groppa ai cammelli… con ogni mezzo, sempre, in ogni epoca le persone si sono spostate per mille e mille motivi.

Ogni essere che nasce su questa terra europea è l’ultimo anello di una lunghissima catena che proprio dalle migrazioni ha avuto origine. Non saremmo qui, non saremmo noi, se centinaia di migliaia di anni fa non ci fossimo messe e messi in marcia per bibliche traversate verso l’ignoto, dall’Africa all’Europa, proprio come oggi. I rischi più spaventosi stavano nell’imprevedibile violenza degli eventi naturali, ieri come oggi. Che difesa abbiamo da un terremoto come quello purtroppo scatenatosi nel Nepal con quel terrificante numero di morti? Non dovremmo oggi usare le nostre intelligenze, le nostre energie e tutte le tecnologie a disposizione per trovare migliori strategie di prevenzione e difesa dalle catastrofi naturali? Non dovremmo stringere un patto mondiale per invertire lo sconsiderato uso delle risorse naturali che mette a rischio il futuro del pianeta e la sopravvivenza della nostra specie? Non dovremmo finalmente capire che rifiutando di accogliere persone in fuga dalla fame e dalla guerra stiamo facendo guerra alla nostra stessa umanità?

Le persone contano, non i confini. Le vite contano, non i sondaggi elettorali. Quel bambino finito in mare con il cappellino rosso conta, non la gelida contabilità di Frontex. Qualche anno fa, in un articolo, avevo paragonato Frontex a un drago appostato sulle coste europee, pronto a divorare chiunque osi avvicinarsi.

Maastricht, Schengen, Dublino, Triton, Frontex… Tappe e nomi di un percorso ingannatore, costruito sulla falsa idea di un’Europa più evoluta, più unita, più libera, più democratica. Oggi molti finalmente la vedono nella sua vera natura di egoistica fortezza fondata sulla legge del più forte e sull’abbandono dei più deboli, interni o esterni che siano. La Grecia insegna, sottoposta a diktat ipocritamente chiamati riforme che hanno l’unico scopo di spingere la popolazione verso un’esistenza miserabile dove nemmeno più i bambini avranno diritto alla salute.

L’avevamo detto e scritto già molti anni fa, noi donne e uomini dei movimenti di base, che non era questa l’Europa che volevamo, così come avevamo detto subito, nel ’91, che la guerra all’Iraq si fondava su una menzogna, e lo stesso per l’Afghanistan, per la Jugoslavia, per la Libia… L’abbiamo detto e scritto che in tutta l’area mediorientale è l’Occidente a scatenare da anni l’inferno, nascondendosi cinicamente dietro rivoluzioni vere o finte e dietro bande di tagliagole aizzate secondo la convenienza da oscuri disegni di intelligence che s’incrociano di continuo.

Quelli de arriba, quelli che stanno in alto, non hanno ascoltato finora le nostre voci, le voci de abayo (rubo il lessico a Zibechi ed Esteva), ma non possono continuare all’infinito a fingere di non sentire. La realtà sta mostrando quanto sia folle il progetto di considerare superflua gran parte dell’umanità. Da questo gorgo nessuno si potrà salvare se non s’inverte la rotta.

Sarebbe bene allora che da un lato ricominciassimo a “gridare” la nostra indignazione con tante presenze, silenziose o meno, nei luoghi simbolo dell’inaccettabile, dell’ingiustificabile, ma riconoscendo contemporaneamente la profonda umanità di tutte quelle persone che invece si adoperano di continuo per salvare vite, come fa la nostra marineria e come fa la popolazione isolana di Lampedusa, in particolare Giusi Nicolini, sindaca di quel minuscolo avamposto  sull’abisso. E dall’altro lato sarebbe necessario che sempre più numerose riprendessimo a dire, a scrivere e a diffondere in tutti i modi e luoghi possibili i nostri progetti di mondo e di politica, così preveggenti e così profondamente alternativi a quello adesso vincente. Una strada, forse l’unica, per ritrovare una ragione di vivere insieme su questa terra.

 

Floriana Lipparini