Un sabato di discussione, il 30 novembre nello Spazio da Vivere, su un tema caldo: come portare l’esperienza femminista nel governo delle città e come tradurla in buone pratiche. In altri termini: dalle piazze al palazzo. Erano nostre ospiti Eva Alfama di Barcellona, assistente dell’assessora al femminismo e LGBTIQ, Laura Pérez Castano e Lorena Garrón, assessora con la stessa delega nel più piccolo municipio di Cadice. Partecipava alla discussione, tra le altre, Angelica Lepori, attivista del collettivo femminista ‘Io l’8, ogni giorno’ da due anni consigliera del Movimento per il Socialismo nel Comune di Bellinzona e recentemente entrata come deputata del Gran Consiglio del Canton Ticino.

spagnoleSi trattava di discutere i risultati di questa presenza, ma anche una questione più generale: se e come entrare nelle istituzioni riuscendo non a “rappresentare” ma a raccogliere e dar voce alle spinte del movimento di cui si è parte. Tema annoso, forse antico in Italia dove viene discusso ormai da quasi cinquant’anni. E su cui Nadia De Mond, introducendo l’incontro, ha detto chiaramente che “è talmente difficile praticare in politica e nelle istituzioni una relazione con la base e i movimenti, che in Italia non ne abbiamo trovato esempi, e abbiamo guardato oltre la frontiera, in Spagna”.

Caratteristica, e novità, dell’incontro è stata la concretezza, la semplicità, la freschezza con cui le due femministe spagnole hanno portato la loro esperienza. Ecco, in sintesi, alcuni punti su cui si è sviluppata la giornata.

Primo punto: come sono arrivate al governo della città? Le differenze tra i meccanismi di candidatura e di elezione sono molte, la più importante è che in Spagna sono state fatte le Attraverso primarie a livello di quartiere e cittadino. Nella sostanza Eva e Lorena sono state elette in liste locali, frutto della spinta congiunta del movimento delle donne e di altri movimenti sociali.

“Il livello municipale è più aperto, nel contesto di crisi della politica che esiste anche in Spagna” ha detto Alfama. “Le donne femministe, ecologiste, di movimenti di base hanno trovato un varco che ha permesso loro di proporsi”.

La spinta non è stata solo quella delle donne. Dice ancora Garrón: “Come movimento sociale siamo stati capaci di incrociare movimenti che venivano dalla classe lavoratrice, come le donne delle pulizie o il movimento per la casa, che non avevano carattere femminista. Il movimento femminista è più elitario, ma è possibile creare un progetto collettivo in cui molte si possono sentire incluse”.

C’è stato anche un rapporto con i partiti di sinistra, Podemos per esempio, non sempre facile. “Più sali nelle gerarchie e nelle strutture di partito, più trovi ostacoli e maschilismo” hanno sintetizzato Alfama e confermato Garrón.

Secondo punto: quali risultati concreti sono riuscite a ottenere? “Ada Colau, che viene dai movimenti ed è la prima sindaca della capitale catalana (è stata riconfermata per un secondo mandato lo scorso giugno, ndr), ha portato nel Comune i temi dell’acqua, della casa, dei barrio periferici” risponde Alfama. Lei fa parte di un assessorato che non solo pone la questione dell’uguaglianza di genere, ma che sta imponendo un criterio di genere trasversale, di cui devono tener conto tutti gli aspetti dell’amministrazione, dall’urbanistica, alla cultura, alla sanità. “Ora abbiamo all’interno del Comune un servizio antiviolenza, con un preciso protocollo per affrontare i femminicidi  e l’impegno diretto contro la violenza, come si è visto nella campagna la giornata del 25 per novembre, con la massiccia diffusione dello slogan ‘Barcelona antimachista’.  Il municipio sta anche lavorando sui diritti delle donne che lavorano nella cura (badanti e simili) e sulle molestie sessuali”.

Garrón parla del piano dei servizi sociali realizzato dall’amministrazione con servizi come le scuole materne, l’assistenza a domicilio, la cooperazione allo sviluppo, un piano per la salute delle donne e per le anziane. Ma anche di interventi apparentemente minori ma di grande valore simbolico, come  il servizio offerto dal Comune alle donne che lavorano nella cura delle persone non autosufficienti per avere un po’ di “respiro”. O gli spazi per l’allattamento, accessibili a tutte le mamme negli edifici municipali.

Terzo punto: come si sono trovate, da femministe, nell’istituzione? “A Barcellona voglio creare un gruppo femminista all’interno del lavoro per la città e la cittadinanza” ha detto Alfama. “Quando siamo state elette non eravamo riconosciute, nemmeno da partiti come Podemos, siamo state trattate come intruse. La stessa Ada Colau, all’inizio è stata vittima di una sorta di svalutazione anche di segno classista, la chiamavano pescivendola…”

E Garrón: “Facevo parte del movimento da anni, avevo una certa idea della città e sentivo la responsabilità di esserci. Certo, c’è grande differenza tra essere nelle istituzioni ed essere femministe nelle istituzioni. Le donne del Psoe (il partito socialista spagnolo) in politica sono tante, ma il loro modo di essere, di relazionarsi con la gente, persino di vestirsi è molto maschile. Se non si fanno continue pressioni anche sui governi di sinistra, i movimenti non riescono a tenere. È un grande sforzo, ci sono molte contraddizioni ma ci proviamo. Le istituzioni non le abbiamo create noi”.

Angelica Lepori ha ricordato l’importanza che il collettivo “Io l’otto” ha avuto sul ruolo istituzionale delle due deputate Mps. “A Bellinzona siamo state megafono di mobilitazioni importanti, tra cui quella per i fondi alle case antiviolenza. Una volta elette abbiamo mantenuto un rapporto costante con i movimenti, manifestando anche negli atteggiamenti – rifiutare le rose del presidente, non andare alla festa di Natale – il nostro essere estranee alla casta. Non ci viene contestato il fatto di stare nell’istituzione, semmai ci chiedono cose che non possiamo ottenere..”.

Con un discorso appassionato, Anita Sonego, copresidente della Casa delle Donne, ha ripercorso l’esperienza nell’amministrazione comunale di Milano dal 2011 al 2016, come presidente della Commissione Pari Opportunità. “Sono stata presentata da un partito politico ed eletta per caso, perché si è ritirato un uomo in lista davanti a me” ricorda. “La più grande soddisfazione è stata quella di dichiarami lesbica nella diretta streaming seguita all’elezione del sindaco Pisapia. Per tutto il primo anno ero sconvolta, non riuscivo a districarmi nei meccanismi della burocrazia e del potere, per la tensione sono dimagrita dieci chili. Poi ho avuto l’idea di convocare le donne di Milano nella sala più prestigiosa di Palazzo Marino e di far dire a loro che cosa chiedevano al Comune. Ne è nata l’esperienza dei Tavoli su molti temi diversi, dalla salute al lavoro agli spazi pubblici di Milano, che ha avuto grande successo. Da uno di questi Tavoli è nata la Casa delle Donne in cui oggi ci troviamo. E poco dopo una delibera del Comune ha riconosciuto per la prima volta in Italia le coppie gay e lesbiche. Come si riesce a entrare nei templi del potere maschile e a non sentirsi sole? Io non mi sentivo sola perché avevo decenni di femminismo alle spalle. Le femministe non sono previste, sono bombe a orologeria nelle istituzioni, ma non riescono a far niente se non si sentono parte di un movimento che vuole cambiare la storia. D’altra parte i movimenti, a meno che siano travolgenti, hanno bisogno di un link con le istituzioni. E il riferimento delle donne può essere solo una femminista che non si fa omologare”. Grandi applausi alla conclusione del discorso di Anita: “Essere femministe significa essere infedeli al potere politico e ai partiti”.

pubblicoDifficile concludere un discorso che si è solo aperto. “Mi limito a rilanciare cose che sono state dette su cui vale la pena continuare a riflettere” ha detto Paola Melchiori alla fine del pomeriggio. “Ricordo uno degli incontri cui ho partecipato nel 2005 in Nord Europa, dove già le donne erano presenti a tutti i livelli della politica. I municipi permettevano di più l’ingresso delle donne forse perché nel governo locale l’impatto era più tollerabile anche ai poteri.  Ai livelli apicali le femministe arrivavano solo per contingenze particolari, come alcune falle nel sistema decisionale. Però appena cominciavano a confliggere il meccanismo che le buttava fuori era ferreo. Ora ci sono movimenti sociali diffusi. Dal 2015 grazie alle donne argentine di Ni Una Menos è cominciato un movimento globale di donne giovani che si ri-chiamano femministe. Questa è una differenza enorme che ha effetti sul piano rappresentativo, non su quello politico ma su quello intellettuale. In questo contesto anche l’invenzione dello spazio per l’allattamento in un ufficio pubblico, citata da Eva, è un modo di aprirsi alle donne che indica come l’agenda femminista renda visibili intrecci tra pubblico e privato, tra economia e cura, generalmente  tenuti invisibili. Avere luoghi istituzionali ci serve per sperimentare, non per prendere il potere, ma per sapere  come ripensare la realtà. Altra cosa, più complessa, perché attraversa le differenze tra i vari partiti, è come fare le alleanze”.

Appuntamento allora tra qualche mese, quando incontreremo le donne che governano le città del Nord Europa.

Grazia Longoni