di Jennifer Guerra
(Tlon, 2020)

Di questo libro mi ha intrigato subito il titolo, un porsi nel cuore pulsante, luminoso, ‘elettrico’ del vivente con il coraggio del futuro. Attraverso la lucida esplorazione del presente e del desiderio che ci attraversa. Jennifer Guerra, giovane autrice, lo pubblica nel 2020, venticinquenne, con Tlon Edizioni. Tlon, dal nome del pianeta inventato da Borges, è un progetto in realtà fondato nel ‘14 da Maura Gangitano, filosofa, saggista, un progetto anzitutto di ‘formazione filosofica per la fioritura personale’, ma anche di eventi, aggregatore di comunità, libreria, teatro e appunto Casa Editrice, che nel 2014 esordiva con il libro di Maura “Malefica. Trasformare la rabbia femminile”.  Molti altri libri a seguire tra cui “Il corpo elettrico…” di Jennifer, che mi sembra inserirsi appieno nel modo di porsi di Tlon, una riflessione attiva, aperta, che spinga a porsi domande.

“Canto il corpo elettrico / le schiere di quelli che mi amano e mi abbracciano e io le abbraccio…”, i versi di Whitman di “I sing the Body Electric”, aprono il libro, e quelli cantati da Chaka Khan in “I’m every woman, it’s all in me”. Sono ogni donna, è tutto in me, introducono la Premessa dell’autrice e il suo intento. “Quello che riguarda un solo corpo di una sola donna nel mondo riguarda tutte le donne”, scrive Jennifer come un mantra che ripete in sé, nello sforzo di comprendere la singolarità del corpo femminile, in tutte le sue forme, queer in prima fila e di agire, rendendosi perfettamente conto della complessità del momento sociale e politico che stiamo vivendo. Le preme il desiderio di prender parte, di fare un’azione significativa, mentre vede “un mondo in fiamme… governi sempre più autoritari e repressivi” e denuncia la paura come abbrutimento nell’abitudine ad essa, nella pretesa di toglierci i diritti, i soldi, le libertà.

Uno sguardo consapevole, la pandemìa quando lei scrive non era ancora iniziata, tantomeno la guerra in Ucraina, e il dilagare rapace delle loro conseguenze. Alla cui luce le parole successive del libro sembrano già sottoposte a un rischio, quando rivendica “Il corpo pieno, desiderante e straripante, il corpo elettrico “dove tutto è in lotta e allo stesso tempo in equilibrio” come qualcosa che non potranno mai toglierci. Corpo pubblico anche per eccellenza e quindi politico, divenuto nel movimento femminista leva rivoluzionaria, terreno reale e simbolico di battaglie di libertà ma proprio per questo anche spazio dove insiste l’esercizio del potere. E dal corpo, dai corpi di tutte ritiene necessario ripartire.

Includendo il suo stesso corpo e vissuto, conscia dei limiti della sua condizione di “ragazza giovane, bianca, istruita, di classe medio-bassa, con un lavoro nell’industria culturale”, e in questa consapevolezza aperta al prodursi fuori di tutte la altre esperienze.

Vaglia i percorsi del femminismo storico a partire dal primo prorompente “Il personale è politico” che sfonda il silenzio col fiorire delle pratiche dell’autocoscienza e l’aiuto concreto, collettivo, anche illegale come l’interruzione di gravidanza a quel tempo, nei confronti dei bisogni delle donne;  e che deve riprendere forza per riproporre l’individualità e non l’individualismo, la ripresa in primis della responsabilità e della coscienza  politica, scivolata spesso in una delega alle istituzioni, la costruzione delle differenze, come reale riconoscimento di tutte, soggettività attive di corpo-pensiero.  “Ripartiamo dal desiderio personale e trasformiamolo in desiderio politico… Usiamo la nostra differenza per reclamare unione e forza”.

Accorta l’analisi  svolta nel capitolo “Contenuti e contenitori”, sul controllo a cui sottoponiamo il nostro “capitale corporeo” connesso al “male gaze”, lo sguardo maschile, a cui occorre contrapporre uno sguardo femminile, un “female gaze”.

Il capitolo “Lo si diventa” riprende le parole di “Il secondo sesso” di Simone di Beauvoir, sul divenire donna, non definibile da nessun aspetto biologico, psichico o economico ma prima di tutto “come l’irradiarsi di una soggettività, lo strumento indispensabile per conoscere il mondo”. E per costruirlo, aggiunge Jennifer. “È solo diventando donne, con la gioiosa unione di tutti i corpi e di tutti i desideri che si possono cambiare le condizioni di tutti”. Ripercorre quindi gli Studi di genere e l’avvento del transfemminismo, a partire dal riconoscimento ad ogni corpo del diritto ad autodeterminarsi secondo le proprie logiche e il proprio desiderio. Un principio che la nuova generazione di attiviste pone come base di libertà per una politica di alleanze  dei ‘femminismi’ e non solo, che possa arrivare a scalzare il patriarcato, il dominio maschile ed eterosessuale ancora ben saldo, con il suo unico modello di potere a cui spesso ci conformiamo, costrette per essere incluse. O che  cerchiamo di ‘adattare’ alle nostre esigenze, ma c’è spazio oggi per altri poteri? Spazio per pensare delle alternative? Che siano non solo spazi di rappresentazione, fagocitati poi dal sistema, ma di reale rappresentanza, non ridotti a edulcorata minoranza, e oltre la narrazione egemone.

Rispetto al mondo queer e trans solo nel 2016, l’Onu ha approvato una risoluzione per la protezione contro la violenza e la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere e solo nel ’18 l’Oms ha tolto l’incongruenza di genere dalla lista delle malattie mentali.

Il testo continua con il capitolo “Dalla parte delle bambine”, che riporta in evidenza un titolo famoso nell’Italia degli anni ’70 e i modelli educativi, che si ripropongono, assumendo spesso solo nuove vesti, mantenendo ancora un diverso mercato per le bambine e i bambini e una diversa inclinazione educativa, verso l’immanenza per le femmine, verso la trascendenza per i maschi. Con tutte le loro conseguenze, di stereotipi di genere, di possibilità comunque più limitate o rese più difficoltose o non pensabili, di soprusi e violenze ancora concepibili, quasi ‘normali’. Serve costruirci più coscienza collettiva e di nuovo un uso consapevole della rabbia come indicava Audre Lorde già negli anni 80, “La rabbia è un dolore di distorsioni tra pari, e il suo oggetto è il cambiamento”.

“Questo è il mio sangue”, penultimo appassionato capitolo, sul grande assente, il sangue mestruale,  quasi non rappresentabile o in sordina, o ripudiato, viola gli standard della community, non violata affatto però dalle rappresentazioni più truculente. La cultura mestruale divenuta sapere alternativo “come alternativi sono i saperi delle donne” . Una ragazza la scorsa primavera mi disse che stava andando al Festival della mestruazione… Il primo a Milano e in Italia, secondo dopo l’India, un evento nato da “Eva in rosso”, primo podcast sul ciclo mestruale in Italia.  Il cambiamento è in atto, continua.

Anche se, o proprio per questo, nell’ultimo capitolo “Una buona eroina è un’eroina morta” si legge, citato da E. Serra “La morte ci fa belle” (2013), “L’omicidio femminile non è un evento fortuito, tanto meno occasionale. Ma un mito fondativo della nostra cultura…”, sconcertante substrato, lascio a voi il resto da leggere fino alla fine, con l’ultima citazione di Jennifer,“ ‘Vogliamo il pane, ma anche le rose’. E non le chiediamo a te (patriarcato), ce le prendiamo da sole.”

Jennifer Guerra, Brescia 1995. Suoi scritti sono apparsi su “Soft Revolution Zine”, “Forbes” e “The vision” dove dal 2018 lavora come redattrice e per cui ha curato il podcast a tema femminista AntiCorpi.

 

Milano 9/11/2022

Rita Bonfiglio