di Antonella Nappi

Ho letto gli ultimi articoli apparsi sul sito, quelli che mi si mostravano non volendo io iscrivermi a Facebook ma riconoscendomi nel sito. Penso che entrare in comunicazione con le cose che appaiono sia valorizzare le autrici e che il senso d’essere associate sia comunicare tra noi, per cui scelgo quelli firmati, anche i gruppi secondo me dovrebbero firmare gli articoli con la o le autrici, io penso che patriarcato sia farsi più forti di quello che si è, una prepotenza appunto.

Il primo è quello di Silvia Todeschini, parla delle combattenti donne, dice che lottano per tutte le forme di oppressione: quella degli uomini sulle donne e quella dell’uomo sulla natura, lamenta che non ci siano donne occidentali a farlo. Mi chiedo come le occidentali possono lottare di più di quanto non fanno? Morire e uccidere? Ammiro le curde che non si sottraggono se lo reputano indispensabile, io trovo molto difficile e faticoso lottare anche in luoghi vivibili come il nostro che non ci uccide subito. C’è una difesa e anche un attacco che è la diplomazia: la politica della comunicazione, dello studio, possiamo attivarla di più?
Il femminismo in occidente si è impegnato a comprendere da dove viene il “meccanismo” dice Silvia, della violenza patriarcale. Io credo sia relazionato alla sessualità maschile, corpo compreso, e alla identità maschile disturbata dal nascere da una donna e non esserlo.

Lego dunque la violenza dell’uomo al rapporto che ha con la donna. Di qui nasce, secondo me la incapacità di accettare l’altro da sé: che sia altro uomo o altro soggetto della natura. La mortificazione di non essere femmina e la difficoltà di doversi creare una identità diversa ha prodotto ostilità verso gli altri e il rifiuto di mostrarsi fragili e dispiaciuti come forse sono gli uomini, la vergogna che li porta a non parlare di sé in pubblico (ma forse molto tra le braccia della donna, i più coraggiosi). Ricordate Gita al faro di Virginia Woolf?

Voler essere più potenti della donna ed enfatizzare la propria potenza sessuale, identificarsi solo e proprio in quella, fare guerra e fare oggetti, soldi, avere potere, è una malattia patriarcale. Parzializzarsi è la capacità alternativa, la politica non patriarcale da insegnare, anche a noi stesse, da esercitare continuamente. Riconoscere la differenza nostra da ogni soggetto nel mondo, nel proprio contesto, nel proprio legame con l’altro, ogni altro, è valorizzare la propria differenza e parzialità e quella degli altri soggetti, prenderli ad interlocutori. Ciascuno è un limite a noi stessi, non per tacersi, al contrario, che ciascuno abbia il coraggio di dirsi ma per sapersi parzializzare, per non rischiare di volersi onnipotenti. La politica deve essere sapere gli altri e trovare la mediazione con loro.