di Grazia Longoni.

MigrantiNon ha bisogno di presentazioni, Alessandra Ballerini. Genovese, già in piazza per il G8 del 2001 con la casacca gialla e la scritta “lawyer”, nota alle cronache per la difesa strenua e coraggiosissima di Giulio Regeni, da decenni sul fronte dei diritti dei migranti, dei rifugiati, dei soggetti deboli.

“Sono e siamo ‘esposti’ sia perché facciamo moltissimi esposti alle Corti di giustizia, sia perché ci capita di esporci fisicamente, magari frapponendoci tra un migrante e una divisa”: così si è definita lei, ospite alla Casa delle Donne il 1° giugno 2021, in un partecipato ed emozionante incontro, sia pure in remoto, che si può rivedere nella pagina Facebook della Casa delle Donne di Milano.

Presentata da Maria Nadotti come “figura iconica” che “crede nella giustizia, sta con tenacia in prima linea e lo fa dimostrando che lo si può fare”, è stata sollecitata da molte domande e molto ha raccontato come testimone diretta di tante violazioni dei diritti umani. Nei respingimenti in mare, nel rifiuto al diritto di asilo, a Lampedusa come in Libia e in Egitto, sulla frontiera balcanica e su quella di Ventimiglia.

Violazioni di diritti inviolabili che, secondo l’art. 2 della Costituzione, richiedono il “dovere inderogabile” della “solidarietà politica, economica e sociale”. E che sono diritti “indivisibili”, validi per ognuno e per tutti, come sta scritto in tutte le carte dei diritti, europee e internazionali.

Che cosa possiamo fare noi, che assistiamo sgomenti a quello che accade, sempre di più nell’indifferenza della politica ma anche di molte persone, che sembrano accontentarsi di un post sui social o di una firma sotto un appello?

Alessandra ha sottolineato che tutte le forme di partecipazione servono, che ciascuno fa quello che riesce e che può fare, ma ha detto anche che si tratta di una domanda a cui non è facile rispondere, così come non è facile andare oltre la pura “indignazione”. Dopo il nostro incontro, ha scritto un articolo pubblicato il 6 giugno 2021 nelle pagine genovesi di “La Repubblica” (lo si può leggere sul sito comune-info.net).

Lì, tra le tante cose che si possono fare, indica per esempio: “Curare i piedi e le anime dei profughi, insegnare l’italiano, condividere saperi. Partecipare a collette per rimpatriare le salme di chi ha perso a vita a suon di botte, sfruttamento o indifferenza. Informarsi e informare. Pretendere un giornalismo corretto”.

Alla Casa ha parlato anche del ruolo delle immagini e delle parole. Come la foto del piccolo siriano Aylan, riverso su una spiaggia turca, che è stata guardata con attenzione “perché era bella”, senza “distogliere lo sguardo come accade con le immagini dei cadaveri galleggianti nel Mediterraneo” e che per questo ha suscitato tante offerte concrete di aiuto per i bambini siriani.

Ha detto che è importante non chiamare i migranti “clandestini” e non usare la parola militaresca “sbarco” quando parliamo di persone che approdano da noi, che non ci “invadono”.

Ha posto grandi ma concretissime questioni politiche. Una su tutte: quella del diritto dei migranti a chiedere un visto nelle ambasciate dei Paesi dove vorrebbero recarsi. Evitando quella tremenda unica via di uscita dai loro Paesi che è rappresentata dall’odissea, costosissima e piena di rischi, dell’illegalità. La loro, o la nostra?

Per leggere l’articolo di Alessandra Ballerini: https://comune-info.net/cosa-possiamo-fare/