Oggi proponiamo testimonianze e riflessioni sul tema  del lavoro delle donne, che da sempre nel femminismo é stato studiato sul piano storico e discusso nelle sue caratteristiche, tra attività domestiche e non.

Il bel testo Le valorose ragazze di Lesa, Storie di donne del Novecento, Interlinea ed., Edizione promossa dall’Ass. Terra di Confine di Lesa, contiene molte vicende di donne che hanno dato il loro contributo nell’insegnamento, nella sartoria artigianale, nel piccolo commercio, nella gestione della casa e della comunità.

Il libro interessante di Simonetta Simonetti, Storia del lavoro femminile – La Manifattura Tabacchi di Lucca – Una fabbrica di pubblica utilità ed.Tra le Righe Libri 2021 è un saggio sull’esperienza operaia lucchese con uno sguardo ampio, che la rende emblematica per il periodo storico e rappresenta il  passaggio delle donne dal lavoro rurale non retribuito a quello di operaie.

Ci mettiamo in presa diretta coi problemi attuali del lavoro marginalizzato e precario di molte donne di oggi, migranti e non, col testo di Adriana Nannicini Lavoratrici al margine. Donne che lavorano con altre donne Il lavoro come motore della rappresentazione di sé, Manifestolibri 2019, raccolta di esperienze dirette e di riflessioni a tutto campo sulle forme nuove, spesso precarie, marginali, non riconosciute e intrecciate, delle attività domestiche ed extradomestiche; con l’invito a costruire tra le donne  solidarietà e comunità.

Continuate a mandarci i vostri contributi all’indirizzo librarsi@casadonnemilano.it, anche durante il periodo estivo.

Le valorose ragazze di Lesa
Storie di donne del NovecentoInterlinea ed.
Edizione promossa dall’Ass.Terra di Confine di Lesa*

*Il testo è attualmente in ristampa, ma una copia è disponibile presso la Bibliomediateca

le valoroseLa tradizione di donne che danno valore alle donne è viva, dalle parti di Lesa. Innanzitutto donne che hanno dato valore a se stesse, con assoluta modestia ma chiara coscienza delle proprie capacità.

Nella storia di Lesa si dipanano vicende di molte che hanno portato, con una combinazione di orgoglio e umiltà, i loro contributi nei campi dell’insegnamento, dell’artigianato sartoriale, del piccolo e piccolissimo commercio, ma anche nella gestione della casa e della comunità.

Nel libro si intravede in filigrana come queste donne abbiano tenuto le fila dei rapporti interpersonali nel paese e tra il paese e la società in generale.

La tradizione di dare valore è continuata nel libro curato dall’Associazione Terra di Confine, libro il cui bel titolo associa significativamente il coraggio a un suo carattere scanzonato e giovanile nonostante le età anagrafiche, e nello stesso tempo gioca con il molteplice significato di “valore” e “valorosa”.

Anche il libro riconosce la valenza delle vite di donne nel passato recente e remoto, includendo quelle ancora attive attualmente, e tramandandone il messaggio. Un lavoro storico, anch’esso compiuto con umiltà e orgoglio, scritto con semplicità e garbo, a mezza strada tra storia orale e narrativa.

Il valore sta nell’individualità delle singole donne narrate, dalla danzatrice alla magliaia all’ostetrica e alle diverse insegnanti, tutte evocate vividamente, tanto che ci pare di vederle in azione nei loro ambienti di lavoro e di vita.

Ma il valore sta anche nella collettività che hanno costituito e che risalta da questo ritratto di gruppo in cui si intrecciano soggettività e materialità. Nella mente di chi legge rimane impressa l’immagine del vasto quadro che le loro figure compongono, stagliandosi su uno sfondo di altre donne ancora o forse per sempre ignote.

A mia volta riconosco nelle autrici-curatrici del libro atteggiamenti a me cari che ho spesso condivisi: la curiosità, la stima, il divertimento e la com-passione, intesa nel senso di partecipare dei dolori patiti e delle durezze affrontate dalle persone che la ricerca conduce a incontrare. Tornano alla mente storie di altre donne che hanno compiuto imprese quotidiane simili e ci hanno consentito di sopravvivere nonostante le guerre, le tragedie individuali, familiari e sociali dal secolo scorso a oggi.

La narrazione procede agilmente, le storie si fanno leggere sollecitando empatia e si legano l’una all’altra con fluidità. Toni pacati, punte di ironia e qualche vena di scherzo. Mai rassegnazione, piuttosto accettazione piena delle scelte negoziate con le condizioni materiali spesso difficili. Intimità svelate, ma anche segreti che restano misteriosi, come accade per ogni storia che si rispetti. Luoghi e oggetti ci sfilano davanti agli occhi, mentre vengono raccontate abilità manuali e morali di fare e di resistere: al freddo, alla fame, alle scarsità e alle perdite.

Ma anche eleganza nel gestire situazioni di opulenza e di successo – come nel rinunciarvi. Spesso, eleganza pure nell’abbigliarsi, acconciarsi, presentarsi. Nell’insieme emerge un quadro di microstoria che, pur nella sua specificità, riflette e richiama la storia della regione e dell’Italia, una genealogia che in molte – sui nostri rispettivi terreni di ricerca – vorremmo fare nostra. Sperando, anche grazie agli scambi tra noi, di riuscire a trasmettere questa memoria alle prossime generazioni.

Luisa Passerini*

*Storica della memoria.
Emerita di Storia all’Istituto Universitario Europeo di Firenze
terradiconfinelesa@libero.it


Simonetta Simonetti
Storia del lavoro femminile – La Manifattura Tabacchi di Lucca- Una fabbrica di pubblica utilità
ed.Tra le Righe Libri 2021

simonettiHo letto il libro di Simonetta Simonetti Storia del lavoro femminile – La Manifattura Tabacchi di Lucca- Una fabbrica di pubblica utilità, ed.Tra le Righe Libri 2021. Ho trovato lo scritto molto interessante: è un saggio sulla specifica esperienza operaia lucchese ma con lo sguardo ampio, tale da renderla emblematica per altre realtà del periodo e rappresentare il fenomeno di passaggio delle donne dalla condizione del lavoro rurale non retribuito a quello di operaie.

Dalle campagne in città

E’ l’inizio del Novecento e centinaia di donne vengono assunte in una fabbrica che, nata nel secolo precedente, si sviluppa progressivamente grazie alle leggi favorevoli e ai commerci in espansione. Molte vengono attratte in città dove confluiscono dalle campagne lasciando un lavoro pesante non retribuito e scarsamente riconosciuto all’interno della famiglia. Sono perlopiù giovani ma non mancano le donne adulte e nel racconto-saggio di Simonetta Simonetti anche le prime diventeranno adulte, madri e invecchieranno nella Manifattura Tabacchi accumulando oltre quarant’anni di attività.

Il lavoro nella fabbrica è insalubre, nonostante i miglioramenti nelle decadi successive frutto di rivendicazioni sindacali. Ma avere un salario proprio vuol dire sentirsi più libere e riconosciute. L’autrice, con l’aiuto di immagini d’epoca e la vivacità della prosa descrive la compagine operaia nella varietà dei ruoli e delle competenze ma non manca di rappresentarne le relazioni: le maestre che accolgono le nuove, le più esperte che producono più di altre e che a loro regalano parte del loro ‘cottimo’ per raggiungere gli standard imposti, le assistenti ai figli delle colleghe nell ‘incunabolo’, la zona nursery voluta dai titolari per non perdere le operaie esperte.

Emancipazione, lotte sindacali , contraddizioni

E poi le lotte sindacali che si innestato nelle grandi rivendicazioni del sindacalismo di primo Novecento ma che non perdono la specificità del loro settore. E ancora, la Prima Guerra Mondiale, il Fascismo, la Resistenza fino alla svolta degli anni Cinquanta e il nuovo corso del sindacalismo. Ma la classe operaia delle ‘sigaraie’ rimane peculiare e distinguibile in tutte le sue conquiste, contraddizioni e conflitti.

Pur sottolineando la portata emancipazionista della donna titolare di un salario tutto suo, l’autrice non manca di sottolineare le sfumature negative dell’urbanizzazione, delle pesanti condizioni di lavoro, del doppio lavoro, dei conflitti all’interno delle relazioni familiari e delle contraddizioni politico- sociali.

Ricca la documentazione e la ricerca bibliografica, ma ciò che dà originalità al libro è l’esordio costituito dal primo capitolo, con il racconto biografico di una ragazza che dalla campagna accetta l’assunzione alla Manifattura. Questa scelta permette a chi legge di entrare immediatamente nella vita vera di un’operaia, esempio e simbolo di molte altre. Così come il capitolo 9, a chiusura, con storie e testimonianze dirette, raccolte dall’autrice o da testi precedenti. Fino alla chiusa con il paragrafo sulla madre dell’autrice: anche lei ‘sigaraia’.

lo stretto legame biografico della scrittrice con quel mondo di donne lavoratrici e la scelta di aprire e chiudere il testo con queste testimonianze rafforza il contenuto del saggio e nel contempo lo arricchisce di vita vissuta trasformandolo in un vero racconto storico, intensamente umano, sulle ‘sigaraie di Lucca’ e con loro di generazioni di donne.

Angela Giannitrapani

Simonetta Simonetti: già insegnante e socia della Società Italiana delle Storiche, collabora con l’associazione “Scritture Femminili. Memorie di donne – Massa”. E’ autrice di numerosi saggi dedicati alla storia di genere e alla condizione delle donne


Adriana Nannicini
Lavoratrici al margine. Donne che lavorano con altre donne
Il lavoro come motore della rappresentazione di sé
Manifestolibri 2019

Nannicini[…]Il testo di Adriana Nannicini  riprende le fila del discorso sul tema del lavoro marginalizzato delle donne e lo fa soprattutto parlando la lingua dei case-studies, dei dati empirici discorsivi e relazionali, della ricerca qualitativa che scompagina la logica della produzione di risultati a favore di nuove domande, nuove ricerche di senso.

Il breve volume dona analisi accattivanti non solo sulla femminilizzazione del lavoro nel postfordismo (tema già trattato da Nannicini nel suo “Le parole per farlo. Donne e lavoro nel postfordismo”, 2002), bensì indaga alla radice cosa sia percepito oggi come lavoro da donne che lavorano in diversi settori e che spesso lavorano con/per altre donne: centri per l’impiego, cooperazione internazionale, immigrate badanti in Italia.

È un atto di sorellanza, è un atto di disvelamento di ciò che rende il lavoro oggi una dimensione dell’umanità. Parte dalle donne e va molto oltre, non si ferma alla dicotomia lavoro remunerato vs. lavoro non remunerato. Come ben osserva Simona Bonsignori nella sua Introduzione “Donna, insomma, deve diventare una declinazione politica” (cit. Simona Bonsignori, p 12).

Gli obiettivi del testo puntano a svelare, dunque, la cancellazione del lavoro delle donne – in casa e fuori casa, svelare le comunanze tra lavoratrici ‘manuali’ e ‘intellettuali’ – ovvero le molestie, come ben descritto dall’inchiesta della giornalista Stefania Prandi sulle braccianti nel Mediterraneo (Oro Rosso 2018, vincitrice del premio giornalistico Otto Brenner Preis per l’inchiesta giornalistica Rape in the fields); svelare il desiderio e il bisogno di riconoscimento delle donne, da ricevere e da dare (p. 101).

Il lavoro si imprime prepotentemente sulla scena nel complesso significato di interazione fra individuo e ambiente, di modificazione del contesto sociale; ma, soprattutto, il lavoro viene alla ribalta come motore della rappresentazione di sé in un’epoca in cui si scivola facilmente nel decretarne la morte felice.

Cosa costituisce ‘lavoro’ oggi senza essere nominato?

Nannicini non affronta il lavoro femminile in chiave quote rosa o di parità di genere, seppure analizza i casi in cui la neutralità delle nostre istituzioni e delle agenzie per il lavoro prefigurano la necessità di ricorrere a queste misure come unico strumento per rendere visibile una disparità che penalizza donne e uomini. Il patriarcato non è morto, insomma, e le donne che hanno detto il doppio sì alla famiglia e al lavoro non vivono ancora pienamente queste due dimensioni che restano forgiate dalla prospettiva maschile, a differenza di ciò che si è decretato con un po’ di ansia celebrativa in “Immagina che il lavoro” (Sottosopra – Libreria delle Donne di Milano, Marzo 2009).

[…]E, allora, la scommessa è davvero remunerare il lavoro domestico di cura? Cosa si può etichettare come altruismo…? Cosa perdiamo nella logica esclusiva dei diritti e dei doveri? “Lavoratrici al margine” rimarca l’importanza di immaginare altro per evitare lesclusività femminile nella gestione degli affetti e del tempo di vita. Ma senza negare all’esperienza quotidiana il ruolo prezioso rivestito dal ‘fare disinteressato’, dalla pratica di amarsi fra altri e con se stesse perché è di questo che siamo fatte e fatti.

L’autrice ritorna a ‘le parole per farlo’ e racconta della necessità di intessere una collettività prima di inquadrare la questione del ‘lavoro’. E lo fa esplorando il significato di questa parola tra sforzo, processo, prodotto, attività umana. Lo fa ascoltando donne migranti che fanno un lavoro in Italia che non esiste nel loro paese, oppure altre per cui il lavoro ha subito già nel loro paese una progressiva svalutazione semantica.  [… ]

La materialità del lavoro sembra essere scomparsa dalle analisi più accreditate finendo per rendere invisibile il lavoro stesso, e il lavoro delle donne.

Nannicini si chiede come mai non riusciamo più a produrre un immaginario potente sul lavoro come all’inizio del secolo scorso in cui la fotografia e il cinema hanno reso immortali le icone sullo sfruttamento del lavoro nel modello fordista […].

Uno degli aspetti più espliciti e controcorrente del testo è quello relativo alla richiesta di armonia e ricchezza vita/lavoro anche per chi non è madre.

Le interviste portate avanti dall’autrice nei centri per l’impiego o con cooperanti mettono in luce il bisogno di legami e di socialità fra donne che vivono la stessa condizione di precarietà, di lavoro e di affetti.

Molto interessante la discussione sul fare rete, tra colleghe, connazionali, utenti di un servizio di formazione, per rientrare nel mondo del lavoro, per passarsi informazioni, per stabilire contatto (p. 44). La paura di specchiarsi nell’utente donna (p. 46) da parte di una operatrice di un centro per l’inserimento professionale rende bene l’idea dell’angoscia esistenziale della precarietà, in cui svolgere il tuo lavoro significa costantemente avere di fronte l’immagine di chi potresti diventare quando fra un anno ti scadrà il contratto. Oppure diventerai madre[…].

Il lavoro vivo, dunque, si annida nelle migrazioni e si solidifica nella difficoltà di restare aggiornate quando si vive in determinate zone del mondo, nelle molestie, nella mancanza di benessere psicologico. Il lavoro vivo, dei corpi in movimento, non è morto. Può solo morire nella mancanza di socializzazione.

Rossella Traversa

Questa minirecensione è un estratto, concordato con l’autrice; per leggere il testo intero, il link è
https://artslife.com/2019/12/09/lavoratrici-al-margine-donne-che-lavorano-con-altre-donne/

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