di Grazia Longoni.

L’8 marzo, nel pomeriggio, abbiamo incontrato nella nostra sede di via Marsala 10 un gruppo di giornaliste di GiULiA, l’associazione che da anni si occupa del rapporto tra i media e le donne, sia dal punto di vista di chi fa informazione, sia dal punto di vista dei contenuti, cioè delle donne come “oggetto” di notizia, di commento, di intervista, di immagine fotografica.

Marialuisa Villa, Paola Rizzi, Barbara Consarino ed Ester Castano ci hanno raccontato una delle loro proposte più recenti, l’osservatorio “Sui generis” in cui vengono monitorati ogni mese una decina di quotidiani nazionali e alcuni siti internet (nella foto l’ultima edizione). Questo il link: Giulia.globalist.it/rassegna

Una prima valutazione è quantitativa: quante firme di donne sui commenti e sugli articoli più importanti, quante esperte vengono intervistate, quante immagini di donne compaiono sulle prime pagine.

“I risultati sono costanti nel tempo e corrispondono a quelli del Global Media Monitoring Project, il più importante monitoraggio mondiale sul rapporto tra genere e media” ha detto Rizzi. “Le firme femminili in prima pagina non superano mai il 25% del totale, analoga proporzione riguarda le interviste e le fotografie non generiche di donne, cioè con nome, cognome, ruolo professionale”.

L’ultima edizione di “Sui generis” è uscita il 7 marzo. Riguarda principalmente la guerra in Ucraina e dà anche valutazioni qualitative.

“In una notte siamo passati dal virus protagonista assoluto, ora relegato a piccoli articoli nelle pagine interne, alla guerra” ha rilevato Consarini. “Nei primi tre giorni dell’invasione russa le donne sono semplicemente scomparse, come i virologi, mentre spuntavano ovunque generali, esperti militari, strateghi di vario tipo. Poi le donne sono riapparse, quasi sempre nelle vesti di madri in fuga con i figli, più raramente come combattenti. Di una persona importante come Elvira Nabiullina, governatrice della Banca centrale russa, alcuni giornali hanno studiato il look per ipotizzare che il suo essere ‘sprofondata in un maglione a collo alto’ durante una riunione al vertice potesse significare dissenso nei confronti di Putin”.

La guerra è l’espressione massima della violenza sui corpi” aggiunge Castano, giovane cronista da pochi mesi eletta consigliera dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. “Ma se guardiamo a come viene raffigurata la donna combattente, vediamo che è quasi sempre bellissima. Anche in questo caso il racconto è sessualizzato”.

“È vero che, soprattutto in tv, vediamo molte inviate di guerra e che cresce il ruolo delle giovani giornaliste, soprattutto nelle edizioni online” fa notare Marialuisa Villa. “Ma pochissime firmano commenti e bassissima è l’attenzione al pensiero delle donne, anche su temi, come il calo demografico, in cui dovrebbero essere protagoniste”.

Quindi anche se qualcosa è cambiato e sta cambiando, moltissimo resta da fare.

Tra le presenti, molta attenzione, curiosità e desiderio di intervenire. Anzitutto sulla rappresentazione della guerra in corso, con un ritorno quasi primordiale ai ruoli di genere tradizionali. Ma anche su altri temi, come i toni paternalistici di certe interviste a donne anche molto note o i “tacchi a spillo” di ordinanza nei talk televisivi.

E una domanda fondamentale: c’è una differenza, e qual è, tra lo sguardo maschile e lo sguardo femminile sulla realtà? Il tema, e la ricerca di una risposta, potrebbero costituire il  terreno di un impegno comune, delle giornaliste e delle femministe.