foto comune-info.nrtIl 28 novembre scorso, nello splendido Spazio alla Casa delle donne di Milano, abbiamo vissuto un emozionante, partecipatissimo primo incontro nazionale di una rete di realtà femminili nata attorno all’appello intitolato “Muri e recinti: non è l’Europa in cui vogliamo vivere”.

Avevamo lanciato questo appello nel momento in cui le cose terribili accadute sugli scogli di Ventimiglia, la chiusura della frontiera, i respingimenti, e i continui tragici naufragi, ci hanno reso impossibile tacere. Lo abbiamo lanciato per ritrovare una voce comune e cercare di farla ascoltare, perché non possiamo proprio più accettare quel che accade nei nostri mari, sulle rotte dei Balcani, a Ventimiglia, a Calais e nel sud della Spagna, a Ceuta e Melilla. Non possiamo proprio più accettare che si costruiscano barriere e confini che di fatto dividono l’umanità tra chi ha il diritto di vivere e chi no. Un’Europa così non è un luogo in cui possiamo vivere.

Quelle donne e quegli uomini in fuga potremmo essere noi, i nostri figli, i nostri vecchi. In altre epoche lo siamo stati. Non possiamo consentire che vengano chiamati clandestini e trattati come disturbatori del nostro presunto benessere o del nostro cosiddetto stile di vita, o peggio lasciati morire nell’indifferenza generale.

Per fortuna però in ogni luogo sono tantissime le associazioni e le persone, uomini e donne, che si muovono con generosità e solidarietà nei confronti dei rifugiati. Questo ci dà speranza e il desiderio di agire insieme, per costruire un grandissimo popolo solidale. Ma resta comunque centrale dal nostro punto di vista mettere in luce quale sia il modello che produce tutto questo, o per lo meno quale ne sia un elemento essenziale, quel sistema patriarcale sostanziato fin dalle origini di rifiuto del diverso e di gerarchie fra generi, fra popoli, fra classi, insomma fra differenze. C’è ancora questo secondo noi al fondo delle attuali politiche di esclusione e se non si prova a decostruirlo niente potrà cambiare davvero, anche se è difficile distinguere oggi il peso del patriarcato dalle logiche neoliberiste cui si deve il dilagare della povertà che porta alla disperazione in tutto il mondo masse sempre più grandi di persone, espulse dal diritto a una vita degna.

Non avevamo tuttavia previsto che gli eventi improvvisamente precipitassero. Sono accaduti fatti tragici che di colpo hanno reso ancora più forte il senso del nostro appello. Siamo inorridite per le allucinanti stragi che hanno falciato le vite di tanti giovani di ogni colore e nazionalità. Ma con il pretesto del terrore s’intensificano proprio quei pericoli che nell’appello denunciamo: la paura, il rifiuto del diverso, la xenofobia, il razzismo, l’esclusione… E già vediamo prepararsi un’Europa sempre più militarizzata e poliziesca, non soltanto verso l’esterno ma ora anche al proprio interno. Nuove misure e leggi che possono limitare le nostre libertà e cambiare in peggio i nostri modi di vivere. Si annullano persino alcune norme della Convenzione dei diritti umani.

Quel che è peggio, con il pretesto del terrore nei paesi europei si torna a parlare di guerra, si torna a parlare di “scontro di civiltà”, quando di civiltà non se ne vede né da una parte né dall’altra, perché entrambi i mondi, a ovest e a est, si nutrono di vecchie ideologie patriarcali capaci di parlare solo con il linguaggio delle armi.

Tutto questo farà sicuramente arretrare i diritti e le libertà delle donne, come sempre accade nei momenti di crisi. Dobbiamo uscire da questo circolo vizioso, e rompere la vecchia delega ai poteri maschili mettendo in campo tutto un altro genere di logiche e di politiche.

Hannah Arendt ha detto che “Non possiamo scegliere con chi coabitare il mondo”. Questo significa che occorre andare verso un’idea di cittadinanza universale e nuove modalità di convivenza, inclusive e relazionali, ad esempio entrando in relazione con le donne che affrontano i drammi dell’emigrazione e che con i loro corpi “spostandosi nello spazio, aprono canali inediti tra culture differenti, producono nuovi immaginari e insieme ad essi avanzano una sfida alle pratiche democratiche attraverso una richiesta di legittimazione, riconoscimento sociale e formalizzazione di nuovi diritti… “ (Luisa Passerini)

Si tratta insomma di pensare nuovi paradigmi e nuove pratiche per un mondo “in comune”. Il mondo en comù che sta provando a costruire ad esempio Ada Colau a Barcellona con le sue Città rifugio. Utopia? Ma l’utopia è solo qualcosa che non è stato ancora realizzato, come dice Judith Butler “A volte in politica la cosa che non potrebbe mai succedere inizia a succedere. E ci vogliono persone che resistono per questa cosa, persone che accettano di essere idealiste e di operare in contrasto con la Realpolitik. […] Forse, uno dei doveri della teoria e della filosofia è di dare forza a principi che sembrano impossibili, o che hanno lo statuto dell’impossibile, senza abbandonarli e continuando a desiderarli, anche quando sembrano irrealizzabili”.

L’incontro milanese ha dato voce a moltissime donne impegnate in mille modi nei territori e altrove, facendo emergere i temi cruciali e le analisi che condividiamo, i temi e i nodi importanti da cui iniziare un cammino comune: il doloroso e sempre presente tema delle guerre, le violenze e i razzismi, lo stesso concetto di cittadinanza…

A Roma, il 13 febbraio, nel nostro secondo incontro nazionale, ripartiremo da qui per oltrepassare frontiere e confini, simbolici e reali.

Floriana Lipparini

 

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