di Judith Butler*

traduzione di Nadia Boaretto
il testo in lingua originale lo trovate su The Guardian 20/01/2021

Che si tratti di morti per Covid-19 o della sua elezione, l’ammissione di una perdita è qualcosa che a Trump risulta impossibile

judith ButlerSi potrebbe considerare cosa di poco conto che Donald Trump non voglia incontrare Joe Biden né riconoscere di aver perso alle elezioni. Ma c’è da chiedersi se tale rifiuto sia legato al percorso di distruzione che chiamiamo Trump exit. Perché è così difficile perdere? La domanda ha almeno 2 significati di questi tempi. Tantx di noi stanno perdendo persone a causa del Covid-19, o temono la morte per sé o per altrx. Tuttx viviamo in contatto con la malattia e con l’estinzione ambientale, magari senza dare un nome a tale disastro atmosferico. Morte e malattia sono letteralmente nell’aria.

Tuttavia non è chiaro come chiamare o analizzare queste perdite, e la resistenza di Trump al pubblico cordoglio ha prodotto e intensificato un rifiuto maschilista del lutto strettamente connesso con l’orgoglio nazionalista e persino con la supremazia bianca. I Trumpisti tendono a non piangere pubblicamente per i morti della pandemia. Hanno convenzionalmente respinto le cifre come esagerate (“fake news!”) o sfidato il rischio di morte nei loro assembramenti e assalti senza maschera in luoghi pubblici, di recente nell’attacco teppistico con costumi animaleschi al Campidoglio.

Trump non ha mai ammesso le perdite subite dagli Stati Uniti e non ha alcuna inclinazione o capacità di presentare condoglianze. Quando parlava di tali perdite era per dire che non erano poi tanto gravi, che la curva si stava stabilizzando, che la pandemia sarebbe durata poco, che non era colpa sua ma della Cina. Dichiarava che ciò di cui le persone avevano bisogno era tornare al lavoro perché a casa “morivano”, intendendo con ciò che il confinamento domestico le faceva impazzire.

Se Trump sembra fascista e agisce da fascista, magari è perché lo è Nick Cohen.

Se avesse riconosciuto apertamente la sconfitta elettorale, sarebbe stato un perdente. Non è assolutamente il tipo che perde, e se gli succede è perché qualcuno gli ha preso ciò che era suo di diritto. Ma c’è un risvolto ulteriore. I suprematisti bianchi che hanno attaccato il Campidoglio sono convinti non solo che sono stati derubati degli esiti alle elezioni ma anche come nazione e che saranno “rimpiazzati” dalle comunità nere e miste, dagli ebrei. Il loro razzismo non accetta la perdita dei loro diritti di legittimazione e supremazia bianca.

E così tornano indietro nel tempo fino a diventare soldati Confederati, si incarnano in figure fantasy dei video game con poteri sovrumani, si vestono come animali ed esibiscono apertamente armi per rivivere il “selvaggio West” e il suo genocidio dei popoli indigeni. Si considerano “il popolo”, “la nazione”, perciò sono scioccati di fronte all’arresto per reati commessi. Com’è possibile accusarli di violazione del suolo pubblico o di sedizione o di cospirazione quando si tratta di rivendicare “casa propria”? Come può essere un reato se il presidente stesso chiede di intraprendere queste azioni?

Coloro che hanno cercato di trovare, uccidere o rapire funzionari eletti avevano chiaramente piani violenti, ben documentati nei loro vari siti internet e ignorati da ufficiali di polizia complici. E l’attacco contro la polizia, come anche il fatto che una di loro, Rosanne Boyle, sia stata schiacciata a morte dalla folla, sono passati sotto silenzio nell’eccitazione della corsa al massacro.

È anche plausibile che la follia omicida finale di Trump nel privare della vita 13 persone a seguito del ripristino nel luglio 2020 delle esecuzioni federali sia un altro esempio della propensione a uccidere che contrassegna questi ultimi giorni. Dove c’è il rifiuto a priori di riconoscere la perdita di vite umane, presumibilmente diventa più facile uccidere. Queste non sono considerate vite e la loro perdita non è significativa. Così gli ultimi giorni di Trump in carica, incluso l’assalto al Campidoglio, sono la replica violenta a Black Lives Matter.

Milioni di persone indignate sono scese in strada per opporsi all’oltraggio di poliziotti che assassinavano cittadini neri impunemente; si è così formato un movimento che ha portato alla luce il razzismo storico e sistemico, e si è contrapposto alla facilità con cui la polizia e il carcere distruggono le vite dei neri. Quel movimento continua a rappresentare una minaccia globale alla supremazia bianca e per questo la reazione è stata violenta e vile. I suprematisti non vogliono rinunciare alla propria egemonia ma in realtà l’hanno già persa e continuano a perdere terreno man mano che i movimenti per la giustizia razziale proseguono nell’ottenimento degli obiettivi. La sconfitta di Trump è inaccettabile come lo è la loro e in ciò si salda la convinzione illusoria di una elezione “rubata”.

Il risultato è una forma di rabbia distruttiva che non si scomoda nemmeno a offrire un alibi morale

Prima dell’assalto al Campidoglio era di certo preoccupante, o addirittura comico, che Trump cercasse maniacalmente di negare le sue perdite con ogni mezzo possibile. E ciò ha senso se pensiamo a una incapacità generale di accettare la sconfitta, un riconoscere che si collega al lutto, come ci dice Freud. Tuttavia per elaborare il lutto deve esistere un modo per segnare quella perdita, un modo per comunicarla e registrarla. Il che richiede comunicazione e almeno il potenziale di un pubblico assenso.

La formula suona all’incirca così: Non posso vivere in un mondo in cui l’oggetto che per me ha valore è perso, oppure Non posso essere io la persona che ha perso ciò che per me ha valore. Distruggerò il mondo che mi riverbera addosso il concetto che ho perso, oppure Abbandonerò quel mondo facendo ricorso alla fantasia. Questa forma di negazione preferisce distruggere la realtà, vaneggiare di una realtà preferita e allucinata, piuttosto che accogliere il verdetto di perdita che la realtà trasmette.

Il risultato è una forma di rabbia distruttiva che non si scomoda nemmeno a offrire un alibi morale. Il punto è reso evidente dalla corsa alle condanne a morte — omicidi sanzionati dallo Stato — ma anche dal minimizzare il numero dei decessi per Covid-19, specialmente quelli riferiti alle comunità di colore e alle popolazioni indigene più duramente colpite. È un provvedimento crudele quello di Trump che negli ultimi giorni in carica distrugge i siti sacri in Arizona per favorire la produzione di rame proprio quando il fallimento della politica pubblica ha sicuramente aumentato il bilancio delle vittime per quelle comunità.

La supremazia bianca ha occupato ancora una volta uno spazio pubblico nella politica statunitense e il Trumpismo sopravviverà a Trump stesso, continuando ad assumere nuove forme.
La supremazia bianca è una fantasia politica, ma anche una realtà storica. La si può capire in parte come rifiuto di piangere la perdita della supremazia bianca che il movimento Black Lives Matter e gli ideali di giustizia razziale giustamente richiedono.

Ora sarebbe il momento per i razzisti di piangere per tale perdita ma c’è da dubitare che lo faranno. Sanno che quello che ritengono un diritto naturale può essere loro tolto, sta già cominciando a essere tolto, e la battaglia che stanno ingaggiando è storica. Continueranno a vivere in questa fantasia finché la realtà li metterà sotto scacco. Speriamo che la contromisura di Biden non consista nel rafforzamento dello stato di polizia. Sarebbe un’altra crudele ironia.

Judith Butler è docente nel dipartimento di letterature comparate e partecipa al programma di teoria critica a Berkeley, University of California. Il suo libro più recente s’intitola La forza della nonviolenza: Un vincolo etico-politico.