di Marilena Salvarezza, coordinatrice del Gruppo di lettura della Casa delle Donne di Milano.

Il 2022 raccoglieva le inquietudini di tutte le partecipanti al Gruppo di lettura per l’aggressione dell’Ucraina. Comune lo stato d’animo di sgomento, impotenza e tristezza, in alcuni casi diverso il giudizio e le idee sul che fare. Si è comunque deciso che il percorso di lettura a partire dal settembre 2022 fosse dedicato a pensatrici e scrittrici che hanno trattato il tema della violenza e della guerra, con la speranza che gli interrogativi sul pacifismo (assoluto o meno) possano essere condivisi e magari portare a iniziative concrete.

Siamo partite dal saggio Sulla guerra di Simone Weil che raccoglie i suoi pensieri dal 1933, anno dell’ascesa di Hitler, fino al 1943 anno in cui lei muore. È un insieme di articoli, riflessioni, lettere, scritti in “presa diretta” con gli avvenimenti, strazianti per lo sforzo inane di trovare strade positive, brucianti di dolore e passione.

Certo Simone Weil non è una femminista ma lei stessa afferma che quando la storia si fa drammatica le donne si sentono chiamate in causa e coinvolte. Sono infatti alcune donne (Simone Weil, Hannah Arendt, Hetty Hillesum, Edith Stein, Rachel Bespaloff) che sul Novecento, secolo di guerre rivoluzioni e genocidi, riescono a scrivere i pensieri più profondi e originali che ancora ci interpellano. Queste pensatrici, non inserite nel mondo accademico maschile, pensano in modo originale, senza balaustra, come dirà Hannah Arendt, tuffandosi nel mare del mondo sociale; non c’è in loro un pensiero precostituito.

Uno dei fili conduttori degli scritti di Weil è l’evoluzione del suo pacifismo, nel 1933 ancora totale perché considera la guerra il male assoluto. Per lei le grandi parole (patria, nazione) per cui si fa la guerra sono astrazioni vuote. L’unica opposizione valida è quella tra democrazia e dittatura. I conflitti più sanguinosi sono quelli che non hanno un obiettivo determinato perseguibile e negoziabile, si fondano sul dominio della tecnica e sulla mancanza di senso del limite. Il 1939 è un anno eccezionale per l’Europa, nella consapevolezza dell’avvicinarsi inesorabile della guerra.

Con l’allargarsi dell’aggressione tedesca e l’invasione della Francia Simone Weil accetta l’idea di Resistenza che però ha caratteristiche peculiari: dev’essere su base volontaria, unire nell’insurrezione tutte le forze dei paesi occupati creando un consiglio supremo transnazionale della rivolta. Il processo di resistenza dovrebbe anche prefigurare le caratteristiche del dopoguerra, cioè autonomia dei singoli paesi, non subalterni alle grandi potenze degli Stati Uniti o della Russia e con un progetto comunitario e di riconciliazione promosso da veri capi. L’esito finale del pensiero di Simone Weil è di tipo religioso: laddove si registra il fallimento di tutte le opzioni umane, occorrono valori come spiritualità e fede. Solo la mistica arriva al bene assoluto. Questa scelta richiede uno stato corporativo spiritualmente preparato. Occorre una élite capace anche di povertà materiale per orientare il popolo.

Anche Arendt riflette sulla guerra e sulla violenza come modalità “politica” in cui i mezzi diventano fini, privi di obiettivi reali, nonostante l’apparenza e rischiano la distruzione totale. Infatti, l’elemento nuovo del periodo in cui scrive Arendt, gli anni Settanta del ventesimo secolo (ma ancor più di oggi), è l’enorme sviluppo della tecnologia bellica, in particolare quella atomica. La guerra continuerà finché non si troverà un altro modo di risolvere le controversie internazionali. La violenza riguarda il piano politico, comporta sempre di più il rischio di una sproporzione fatale tra mezzi e fini e può scomparire solo grazie a un’azione umana che trovi nuove forme per risolvere le controversie.

Oltre a Simone Weil e Hannah Arendt, oggetto delle nostre letture, vi sono altre autrici che hanno scritto parole sempre attuali: in tutte c’è uno sforzo straordinario e originale di capire un presente storico buio e minaccioso, utilizzando la conoscenza del passato ma anche l’unicità della propria esperienza.

Etty Hillesum crede che la ragione senza il cuore non sia sufficiente al pensiero. Occorre un “cuore pensante” per capire ciò che appare incomprensibile come i fantasmi che s’aggirano per l’Europa. Il cambiamento deve avvenire prima in noi, perché possiamo chiederlo anche agli altri e solo l’amore e non l’odio per i nemici può aprire nuovi orizzonti. Analogo è il significato di empatia di Edith Stein. L’empatia è una rottura della nostra esperienza nel momento in cui l’altro e la sua sofferenza appaiono davanti a me e mi chiamano in causa.

Grazia Villa, esperta di diritto, del gruppo della Rosa Bianca, da noi invitata, ha sviluppato con passione e competenza i temi del pacifismo femminile, dei costi che le donne pagano in situazione di guerra (primo fra tutti lo stupro usato come strategia bellica), della loro capacità di resistenza e resilienza, ma anche della loro determinazione a superare le ferite attraverso forme di conciliazione inedite.

Le nostre letture e i nostri incontri, ci hanno quindi offerto un grande potenziale per indagare il presente con i pensieri e le vite di donne straordinarie.

Per questo ci piacerebbe che, oltre alla cerchia del gruppo di lettura, le domande che ci siamo poste diventassero stimolo per una discussione collettiva.

In situazioni come quella ucraina qual è il male minore” e quale il termine di paragone per stabilirlo?

Qual è oggi il fondamento del pacifismo femminista? In che rapporto è con il pacifismo del ventesimo secolo? Quale parte di esso (per esempio la richiesta di disarmo) è ancora attuale? Quali sono invece i suoi aspetti nuovi? In che rapporto è con l’ecofemminismo, la pratica della cura, il rifiuto di una visione gerarchica del mondo?

Come si conciliano pacifismo e resistenza all’aggressore? Può esistere un pacifismo attivo delle donne che permetta di uscire dalla logica binaria aggressione/ controaggressione?

Dal femminismo possono venire proposte sulle mediazioni, sulle forme di pacificazione, su nuovi organismi, sul ruolo delle donne in essi?

Possiamo farci portatrici di proposte anche per le femministe di altri paesi? (convegni, conferenze, scambi di documenti, ecc.)

Abbiamo un punto di vista da cui incontrare le altre forze pacifiste?

Quali iniziative autonome possono connotarci?

Di questi temi e ponendoci questi interrogativi discuteremo nello Spazio partecipato del prossimo 13 febbraio 2023, ore 18:30.