Eccoci con una puntata primaverile dedicata al tema della maternità, con attenzione a esperienze che rivelano forme insolite, difficoltà giuridiche, percorsi complessi: temi personali e universali insieme.
Il libro di Simona Maria Camisani, La danza della libellula. Storia di vita e di adozione (Palermo, Mercurio, 2022), nella collana “Zoè narrazioni autobiografiche”, narra il percorso di una donna alla ricerca di un lavoro autentico e della maternità, passando attraverso le vie difficili della fecondazione assistita e dell’adozione internazionale. La narrazione autobiografica di Antonella Lattanzi, Cose che non si raccontano (Torino, Einaudi, 2023) propone con grande talento narrativo e stilistico una ricerca angosciosa di maternità, attraversata dall’ambivalenza e dai fallimenti.

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Simona Maria Camisani
La danza della libellula. Storia di vita e di adozione
Mercurio, 2022

Copertina libro recensito: Simona Maria Camisani, La danza della libellula. Storia di via e di adozione"Si discute e si scrive molto, oggi, di tecniche di fecondazione assistita; di complicati affidi, più o meno “congiunti”, ai genitori separati (a volte condotti contro le madri), e di adozioni di vario genere e tipo. Sono in gioco in ogni caso intense esperienze di donne, vissute in modi molto diversi. Parecchie cominciano a scriverne, in forma autobiografica e/o narrativa.

Tra le tante storie, scelgo e consiglio questa perché unisce il dolore del figlio “che non viene” alla speranza, alla ricerca di una realizzazione professionale autentica e a un’adozione fondamentalmente serena: per quanto può esserlo in ogni caso un’esperienza di maternità, in cui tanto spesso, come cantava De André, “gioia e dolore hanno un confine incerto”. È la storia di una mamma che oggi è arteterapeuta a indirizzo psicodinamico, professionista Apiart; di una donna che ha cercato e trovato in vari campi uno sbocco autentico.

Ciò che rasserena queste vicende complicate e questi percorsi in salita, nel racconto autobiografico di Simona Camisani, è la personalità dell’autrice, che attraversa crisi e delusioni senza farsene devastare, anzi facendone una leva creativa; inoltre può contare sulla solidarietà attiva di molte altre donne e pratica l’arteterapia come professione e grande risorsa personale.

Il libro è dedicato al figlio Luis, che frequenta il liceo artistico e ha rielaborato la foto dell’autrice posta sull’aletta posteriore del libro. Sappiamo quindi che la storia qui narrata ha un esito in fondo positivo, come suggerisce anche la leggerezza della danza della libellula contenuta nel titolo e nell’immagine di copertina.

Camisani ci fa partecipi del suo percorso. Della crisi personale che nel 1994 con un atto di coraggio e di autenticità l’ha portata a licenziarsi dall’ufficio della multinazionale in cui operava; del contesto di dolore e depressione che accompagnava quella metamorfosi; del matrimonio con Paolo, compiuto dopo otto anni di relazione altalenante.

La ricerca di un lavoro autentico ha avuto altre tappe complesse in diverse città europee e a New York, fino alla scelta dell’arteterapia.

In questo percorso naturalmente passano gli anni.

Quando Simona e Paolo si rendono disponibili alla possibilità di diventare genitori incontrano difficoltà, solo in parte fisiologiche. La coppia rischia di entrare in crisi. La mancata maternità, che non arriva nonostante un desiderio di fondo, lascia un’ombra nelle ricerche professionali dell’autrice. La coppia attraversa perciò il percorso della procreazione assistita, con relative massicce assunzioni di ormoni, controlli medici invasivi e delusioni ricorrenti. Infine Simona si orienta verso l’adozione internazionale.

Anche qui, la strada è in salita; sono oltre quattro anni di tentativi e di delusioni. L’abbinamento adottivo della coppia con una bambina brasiliana va in fumo per difficoltà burocratiche. In fondo al tunnel arriva finalmente l’incontro con Luis, bambino brasiliano che ha già una decina di anni.

Cinquanta giorni in Brasile. Emozioni incontenibili. Gioia immensa, abbracci, ma è faticoso stabilire un contatto profondo con lui e inserirlo nel contesto milanese, così diverso dall’ambiente in cui Luis è cresciuto. Bisogna conoscere e rispettare la natura del ragazzino.

Mediazioni, esplorazioni, un po’ di saudade. Molta poesia. Selvaggia pazienza. Simona è aiutata dalla sua famiglia, dall’arteterapia, da insegnanti comprensive, da una preziosa collaboratrice di madrelingua portoghese.

Nella lettura seguiamo la crescita di questo figlio. Luis in fondo cresce bene, anche se nel mondo si intensificano intanto le guerre e le difficoltà nell’accogliere veramente persone che vengono da altri contesti.

Anche se Simona è nata vent’anni dopo di me, i nostri percorsi di donne in cerca di autenticità hanno moltissimi punti in comune. Anche per questo ho letto la sua narrazione autobiografica con particolare interesse e partecipazione. La consiglio a tutte le donne e a tutte le persone che si aprono alla genitorialità. Nelle pagine di questo libro troverete moltissime sorprese e sarete accompagnate/i da unafiducia di fondo nell’amore e nell’arte.

Vittoria Longoni


Antonella Lattanzi
Cose che non si raccontano
Einaudi, 2023

Copertina libro recensito "Cose che non si raccontano"È una narrazione autobiografica piena di angoscia, di dolore, di talento, di sangue e di tenacia. Antonella Lattanzi ha cercato sempre di affermarsi come scrittrice; per seguire questo suo desiderio ha abortito due volte quando era molto giovane.

Dopo due decenni, con un compagno che è riuscita a coinvolgere, ha tentato di diventare madre e ha vissuto la strada in salita della fecondazione assistita con molte delusioni; i tre embrioni che infine era riuscita a portare in grembo (tre piccole femmine, troppe per poter sopravvivere tutte nella situazione data, con rischio di morte anche per la gestante) sono finiti nel nulla, in drammatiche emorragie.

La società ancora patriarcale oggi chiede molto alle donne, ma non ne offre le condizioni; e noi chiediamo molto a noi stesse. Ci facciamo strada tra infiniti ostacoli. Il desiderio di scrivere libri e quello di mettere al mondo un figlio sono sentiti a volte con la stessa intensità. E può capitare che i due percorsi vadano in parallelo, oppure che entrino in rotta di collisione.

Molte giovani donne rinviano il momento della maternità perché impegnate innanzitutto a realizzarsi nel lavoro, nelle relazioni e nelle creazioni.

Ne abbiamo parlato anche in un incontro recente alla Casa delle Donne: alcune, più fortunate, oggi scelgono la maternità a trent’anni o anche prima, con un percorso professionale già avviato, riservandosi di portarlo a piena realizzazione quando il bambino o la bambina ha già qualche anno. Ma per poterlo fare occorrono condizioni economiche, relazionali, personali e contrattuali decisamente privilegiate.

Questo libro ci porta invece in mezzo a un conflitto lacerante tra affermazione professionale e ambivalenze materne, sfiorando la tragedia; sono pagine che si fa fatica a volte a leggere per la loro lucida e spietata durezza, perché danno spazio anche a anche emozioni livide di rabbia e di invidia furibonda. E a forme di cattiveria e insensibilità da parte di medici, infermiere, altre donne, commenti estranei, personale sociosanitario. Tutte cose che non si raccontano, di solito.

Lattanzi nella lettura lascia senza fiato per il suo coraggio, per le sue capacità narrative, compositive e stilistiche; lascia a se stessa e a chi legge, come risorse per affrontare temi tanto duri, solo la qualità della scrittura, qualche sprazzo di ironia e la sua incrollabile tenacia.

Cos’è un romanzo, davanti a tutto questo dolore? Niente. Perché sto continuando a lavorare, senza mai smettere? Perché continuerò a farlo sempre, con tutto quello che ancora succederà? Mi viene in mente solo un’immagine: una mano aggrappata alla roccia, il corpo che penzola nel vuoto. La mano si tende, non ce la fa più. Forse è questo il significato di: aggrapparsi a una motivazione. Che poi quella motivazione sia la stessa che mi ha impedito di fare figli in tempo, sia la stessa che mi ha portato dritto dritto qui, in queste tre morti, in questi tre omicidi, vorrebbe dire metterla sotto accusa. E io non posso perché mi troverei davanti a una totale assenza di senso. Non la metto sotto accusa, mai, nemmeno adesso che scrivo.” (p. 184 )

Maria Rosa Cutrufelli ha parlato dell’“inchiostro bianco” in cui intingono la penna le autrici, bianco e nutriente come il latte materno. Questo libro invece è scritto col rosso vivo del sangue femminile. Sangue come maturità di donna, coraggio e vitalità; sangue desolante delle mestruazioni che arrivano indesiderate dopo un tentativo andato a vuoto; emorragie laceranti e rischiose a séguito di aborti procurati e spontanei.

Capita che all’uscita dall’ospedale dopo un ennesimo fallimento e un raschiamento (una “revisione uterina”, dicono asetticamente i medici), la protagonista si consoli vedendo il suo ultimo libro in bella mostra in vetrina, in una libreria. Poi magari anche il romanzo delude perché non è accettato al Premio Strega (ma questo ci interessa poi così tanto???).

Ci sono storie di fecondazione assistita ben più serene e coincidenze quasi magiche. Una mia amica, immediatamente dopo aver consegnato all’editore per la pubblicazione il manoscritto del suo libro su questo argomento, è riuscita a rimanere incinta, dopo molti tentativi di fecondazione andati male; ha vissuto la gravidanza con felice energia e ha messo al mondo due amatissimi gemelli, una femmina e un maschio.

Questo libro mette invece di fronte al lato ambivalente, pericoloso e oscuro di una ricerca frustrante di maternità. Sono cose da raccontare e da sapere. Per esempio che cosa si può nascondere dietro l’asettica parola “riduzione embrionaria”, che indica il necessario intervento di soppressione di un embrione quando, anche per estrema sfortuna, ce ne sono troppi in un grembo. Quindi raccontiamoci tutto, anche realtà molto dolorose da vivere, da scrivere e da leggere. Senza tacere o rinnegare nulla.

Vittoria Longoni

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